Dopo i bombardamenti israeliani dell’estate del 2014, che costarono la vita a quasi 1500 civili, tra cui 551 bambini, buona parte della striscia di Gaza è rimasta in rovina. Le associazioni umanitarie che operano a Gaza hanno denunciato una grave situazione di disagio sociale, con decine di migliaia di palestinesi senza una casa, ospedali e cliniche distrutte e mancanza di accesso all’acqua corrente nella maggior parte delle città e dei quartieri della striscia. La campagna #OpenGaza, lanciata dall’associazione Aida – che raccoglie la maggior parte delle Ong che operano nei Territori palestinesi – mira a fare pressioni sull’opinione pubblica internazionale per arrivare al ritiro del blocco israeliano su Gaza, in modo da permetterne la ricostruzione. All’appello di Aida hanno aderito le principali Ong italiane ed internazionali, tra cui Cospe, Cisp, ActionAid e Oxfam International.
«Israele deve rispondere della grave situazione di emergenza in corso a Gaza da oramai diversi anni, dal momento che controlla quasi completamente l’intero confine via terra e via mare, con la striscia. La comunità internazionale deve esigere il rispetto dei diritti umani, ponendoli alla base delle relazioni internazionali e diplomatiche con Israele» ha detto Giorgio Menchini, Presidente del Cospe, una delle associazioni firmatarie dell’appello. Cospe ha sede a Firenze, e sta portando avanti insieme ad altre organizzazioni alcuni progetti di sostegno psicologico rivolto a minori e donne disabili che hanno subito traumi nelle aree di Gaza durante l’offensiva Israeliana del 2014.
Dai promotori della campagna è stato realizzato un video che racconta, attraverso dati e numeri, la difficile situazione in cui vivono gli abitanti di Gaza. «Dopo due anni dall’inizio della guerra il blocco sta gravemente ostacolando la ripresa di Gaza» dice Chris Eijkemans, direttore di Oxfam International in Palestina, che prosegue, «Con l’avvio del cessate il fuoco, i leader mondiali hanno promesso di lavorare per uno sviluppo sostenibile e di lungo periodo per i palestinesi che vivono a Gaza. Tuttavia, ci sono poche evidenze realmente concrete di tali promesse». E poi conclude: «La fine del blocco è l’unica soluzione per dare alle persone l’accesso ai servizi di base di cui hanno disperatamente bisogno, per consentire che la ricostruzione proceda veramente. Solo la sua fine immediata porterà sicurezza a lungo termine per i palestinesi e gli israeliani».
Particolarmente la grave la situazione dei bambini e dei minori. Fikr Shalltoot, Direttore dei programmi a Gaza dell’organizzazione Medical Aid for Palestinians sostiene che «a centinaia di bambini che necessitano di un trattamento medico salva-vita viene impedito di lasciare Gaza. Due anni dopo, ancora non sono state affrontate le cause della loro sofferenza». Oltre la metà della popolazione di Gaza è composta da bambini, che vivono sotto il blocco dalla maggior parte della loro vita. Alcuni, addirittura, da quando sono nati.
Il blocco israeliano su gaza dura dal 2007: circa 1,8 milioni di persone vivono costantemente in trappola, senza possibilità di muoversi al di fuori, né di fuggire in caso di guerre, che sono molto frequenti – nella striscia ce ne sono state tre in sei anni.
Nel conflitto del 2014 andarono distrutte 11mila case, e oltre 75mila persone rimasero senza un tetto dove dormire. La disoccupazione si aggira intorno al 40% – la più alta al mondo – e circa l’80% dei palestinesi dipende dagli aiuti umanitari internazionali. Per questo è necessario rimuovere il blocco.
é possibile firmare la petizione qui.
Il blocco israeliano su Gaza, in vigore da dieci anni, ostacola gravemente la ricostruzione dell'area a due anni dai bombardamenti del 2014. La campagna #OpenGaza dell'associazione Aida, con altre Ong, chiede l'eliminazione del blocco