L’ultima l’hanno raccolta alla Johns Hopkins University di Baltimora, negli Stati Uniti. Ma ormai sono molte le prove provate di qualcosa che oggi magari può sembrare banale, ma cui pochi, anche in un recente passato, hanno pensato: il sistema immunitario di maschi e femmine risponde in maniera diversa alle infezioni e ai farmaci che le curano.
Alla Johns Hopkins University hanno scoperto, infatti, che esponendo al virus dell’influenza cellule del naso trattate preventivamente con ormoni simili a estrogeni la risposta immunitaria tra quelle femminili e quelle maschili era opposta. Le cellule estratte da nasi femminili rispondevano bene agli ormoni e si difendevano bene dall’attacco virale. Quelle estratte da nasi maschili no.
Che il sistema immunitario tra i due generi sia diverso, in realtà, lo si sa da un tempo non brevissimi. Già nel 1992, per esempio, la World Health Organization, l’agenzia delle Nazioni Unite basata a Ginevra che si occupa di sanità, ordinò il ritiro di un vaccino contro il morbillo dopo che nei test eseguiti in Senegal e ad Haiti era stato notato un sostanziale aumento della mortalità tra le bambine, ma non tra i maschietti. Ancora oggi non sappiamo perché i ragazzini sono in grado di evitare gli effetti collaterali di quel vaccino che invece agiscono sulle ragazzine. Ma da allora i ricercatori hanno iniziato a porre più attenzione alle differenze immunitarie di genere.
Tanto che oggi si tengono interi convegni scientifici sull’argomento, come quello recentissimo di Boston, dove recata Sara Readon, della rivista scientifica Nature, ha raccolto un bel po’ di testimonianze.
Due esempi per tutti: nel 2013 la Food and Drug Administration, l’agenzia federale degli Stati Uniti che si occupa di sanità, ha disposto di abbassare le dosi di un farmaco di largo consumo per il trattamento dell’insonnia dopo aver constatato che il principio attivo viene metabolizzato in modo molto diverso tra maschi e femmine. Il metabolismo femminile del farmaco era diverso e molto donne, dopo aver assunto dosi tarate sulle capacità maschile di sopportarlo, rischiavano di andare al lavoro, magari guidando un auto, ancora intorpidite.
Katie Flanagan, della University of Tasmania in Australia, ha reso noto che un vaccino contro la tubercolosi somministrato in fase di test clinici a bambini del Gambia ha abbattuto la produzione di proteine antinfiammatorie nelle femminucce, ma non nei maschietti. Questo ha determinato una risposta immunitaria potente da parte delle bambine, rendendo per loro il vaccino più efficace.
Le domande, a questo punto, sono due. Perché queste differenze di genere? E perché ce ne accorgiamo solo ora?
Una risposta alla prima domanda è di tipo evoluzionistico. La femmine hanno sviluppato un sistema immunitario più forte e veloce per proteggere i loro bambini durante e dopo la gestazione. In realtà dovremmo dire il contrario: hanno avuto maggiore chance di sopravvivenza e, dunque, più probabilità di trasmettere “geni buoni” i bambini nati da donne con un sistema immunitario forte e veloce. Questa è, almeno, l’idea di Marcus Altfeld, un immunologo dell’Heinrich Pette Institute di Amburgo. Se lo scienziato tedesco ha ragione, allora è possibile dare una spiegazione anche a un altro fatto: le femmine sono soggette a malattie autoimmuni, come la sclerosi multipla o il lupus, più frequentemente dei maschi. È l’altra faccia della medaglia: il sistema immunitario femminile si rivela così potente da non limitarsi ad attaccare i nemici esterni, ma anche componenti del proprio corpo. Un altro tipo di spiegazioni, non necessariamente alternativo, indica la causa genetica diretta. Linde Meyaard, immunologa del Centro Medico dell’università di Utrecht in Olanda studia una proteina, la Tlr3, capace di rilevare la presenza di un virus e di attivare l’azione delle cellule del sistema immunitario. Ebbene questa proteina è prodotta da un gene presente sul cromosoma sessuale X, di cui le femmine hanno doppia copia e i maschi una sola.
La diversità nasce anche da chi e come attiva o silenzia i geni coinvolti nella risposta immunitaria. Ebbene, un anno fa,il gruppo di Howard Chang alla Stanford University ha messo a punto una tecnica, la Atac-seq, che consente di studiare le cellule appena prelevate da una persona. Osservando quelle immunitarie, le cellule T, Chang e i suoi hanno scoperto che il complesso sistema di accensione e di silenziamento dei geni del sistema immunitario basato sulle cellule T (coinvolge circa 500 geni) è piuttosto stabile in una persona, ma varia tra persona a persona e la variazione è massima tra appartenenti ai due diversi generi sessuali. In particolare la diversità riguarda 30 geni. Anche gli ormoni hanno un ruolo in partita. Gli estrogeni (ormoni femminili) sono in grado di attivare le cellule del sistema immunitario in presenza di virus, mentre il testosterone inibisce le infiammazioni.
È chiaro che la battaglia immunitaria si gioca su più fronti. E in tutti i fronti maschi e femmine combattono in maniera diversa. In realtà ciascun individuo possiede armi immunitarie diverse da ogni altro. Ma il genere, ormai lo sappiamo, è quella che spiega il maggior numero delle differenze.
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