Lo so che la metafora calcistica è una grave malattia che affligge gli italiani da decenni... eppure pensateci, da una parte era seduto il socialista che ha distrutto i socialisti in Francia. Dall’altra, era seduto il socialista che dal 26 novembre scorso guida un governo monocolore socialista, simbolo anti austerity

Lo so che la metafora calcistica è una grave malattia che affligge gli italiani da decenni… eppure pensateci, da una parte ieri sera allo stadio di Saint Denis era seduto François Gérard Georges Nicolas Hollande, dall’altra António Luís Santos da Costa. Da una parte, era seduto il socialista che ha distrutto i socialisti in Francia. Dall’altra, era seduto il socialista che dal 26 novembre scorso guida un governo di minoranza, monocolore socialista, con l’appoggio esterno dei partiti di sinistra, simbolo anti austerity. Si guardavano i due, e guardavano i loro giocare.

Uno ha chiuso le frontiere (indimenticabili le immagini di uomini appollaiati sugli scogli di Ventimiglia in attesa di una vita, nel 2015), ha proposto la sospensione della cittadinanza francese agli stranieri, si è intestato una riforma del lavoro all’italiana, modello Jobs act, e non ha mai messo in discussione l’asse con Merkel e Schauble, anzi è sempre in prima fila sorridente nei vertici europei. Quelli a tre, che fanno felice anche Renzi. L’altro, Costa, come primo atto del suo governo di minoranza, ha innalzato il reddito minimo garantito a più di 600 euro, ha ridotto a 35 ore l’orario di lavoro e abbassato l’Iva per il turismo dal 23 al 13%.

Il primo, Hollande, ieri aveva la vittoria in tasca e il pullman per celebrare la vittoria pronto. L’altro, aveva il cuore in gola e la testa a mille. Grandeur francese contro resistenza portoghese. I grandi erano forti e i piccoli precisi. Il Portogallo ha mostrato la sua tenacia a Saint Denis, la capacità di reagire ad un Payet qualunque che ti abbatte il capitano, quel Cristiano Ronaldo antipatico a tanti ma grande eroe di ieri. Un eroe fuori campo che urla zoppicante ai suoi compagni. Fino alla fine, fino alla vittoria. Di cosa? Di un Europeo, e allora va bene, usiamola la metafora calcistica, per dire che questa è l’Europa che ci piacerebbe. Tenace, forte, solidale, reattiva, coesa, coraggiosa. In cui chiunque, anche un sostituto (Eder) è uguale al campione e può cambiare il vento. Un’Europa che si oppone ai forti e all’austerity, che i vertici non li vuole, che la Grecia non la abbandona, ma che anzi è la Grecia. E che pensa alla gente. Tutta. «Feliz», ha scritto Marisa Matias, leader del Bloco de Esquerda portoghese, a fine partita. Anche noi.