Il giorno dopo l'assoluzione in appello dei medici dell'Ospedale Pertini, parla il legale dei familiari Fabio Anselmo: «È un assist per l'altra inchiesta che vede coinvolti i carabinieri»

«È una lotta contro i mulini a vento. A questo punto pensiamo di ritirarci. Anche perché questa sentenza può essere un assist per l’altra inchiesta nei confronti dei carabinieri indagati». Tanta amarezza nelle parole dell’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi. È il giorno dopo la sentenza di assoluzione in appello dei cinque medici dell’ospedale Pertini accusati di concorso in omicidio colposo per la morte di Stefano Cucchi, avvenuta all’ospedale romano il 22 ottobre 2009. Dopo che la Cassazione a dicembre 2015 aveva chiesto un nuovo processo, annullando la precedente assoluzione, ieri la sentenza d’appello: tutti assolti perché il fatto non sussiste.

«Questa sentenza sembra che dica che Stefano è morto per causa sua, per causa naturale, l’unico responsabile delle sua morte è lui stesso», aggiunge Anselmo. L’assoluzione dei medici poi potrebbe avere ripercussioni sull’altra inchiesta, quella bis aperta dalla Procura di Roma a gennaio 2015 e che a settembre contava nel registro degli indagati cinque carabinieri, due per falsa testimonianza e tre per lesioni aggravate. «La sentenza emessa ieri – continua l’avvocato Anselmo – fa pensare che possa costituire un assist nei confronti dell’inchiesta relativa ai carabinieri. Rischia di trovare nella sua motivazione la “certezza” che Stefano è morto per colpa sua». «Visto l’atteggiamento del Procuratore generale, verso cui va la mia più profonda gratitudine, vista la sentenza, a questo punto cogliamo un chiaro segnale di fronte al quale ci si chiede la resa».

Tutto finito? Possibile che un caso come quello di Stefano Cucchi che ha sollevato mezza Italia, che ha aperto una riflessione generale sull’operato delle forze dell’ordine e sulla necessità che il nostro Paese vari una legge sul reato di tortura – ancora lontano dall’essere introdotto – finisca nel silenzio senza un responsabile, senza una motivazione? Sette anni di battaglie infinite, con la sorella Ilaria sempre in prima linea a chiedere giustizia per quel fratello fermato il 15 ottobre 2009 dai carabinieri. Ilaria Cucchi nelle manifestazioni, in tv, nelle aule parlamentari, con le foto del fratello dal volto tumefatto a chiedere di far luce su una inenarrabile odissea. Prima la caserma, poi il carcere a Regina Coeli, poi l’ospedale Fatebenefratelli per un accertamento, poi di nuovo il carcere e infine l’Ospedale Pertini dove muore il 22 ottobre.

Ieri Ilaria ha pubblicato su facebook la foto del corpo nudo del fratello, un corpo sul tavolo anatomico. Quasi uno scheletro. Facebook ha bloccato quella foto, troppo dura. Ma l’immagine è dura anche perché “parla” di una morte ancora senza un responsabile. L’unico fatto certo per il momento è che Stefano è morto mentre si trovava affidato a uomini dello Stato.

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.