Arrestati migliaia di dipendenti pubblici, soprattutto professori, e giornalisti. In manette anche due giudici della Corte costituzionale. Continuano le epurazioni in Turchia. “Non abbiamo ancora finito” ha annunciato in diretta tv alla nazione Recep Tayyip Erdoğan imponendo tre mesi di stato di emergenza. Dopo il fallito putsch della notte fra il 15 e il 16 luglio circa 60mila persone sono messi “sotto inchiesta”. Come è noto non ci sono stati arresti solo fra i militari ma anche nella società civile. Chiusi siti di informazione online, ritirate le licenze a radio e tv considerate vicine all’islamista Fethullah Gülen, che Erdoğan accusa di essere il deus ex machina del tentato golpe.
Ciò che colpisce maggiormente è che siano stati sospesi decine di migliaia d’insegnanti e chieste le dimissioni di 1.500 docenti universitari. Segno evidente che il presidente turco vuole approfittare della situazione per controllare in modo che cosa si insegna nelle università e i modi di trasmissione del sapere.
Al contempo il presidente turco ha messo le mani sulla giustizia, destituendo centinaia di giudici e arrestatando 113 esponenti del sistema giudiziario, compresi due esponenti della Corte costituzionale. Tutto questo in modo sommario, senza processi, istituendo un tribunale speciale, violando democrazia e giustizia. Se il ricorso alla tortura e la violazione di diritti umani nelle carceri turche sono state denunciate anche in passato da molte associazioni internazionali impegnate in questo campo nell’ultima settimana c’è stata una escalation della violenza. A denunciarlo è l’avvocato e scrittore turco Burhan Sönmez su Left in uscita sabato 23 luglio: le immagini che documentano la nuova ondata di arresti, mostrano anche evidenti segni di violenza su chi è finito in manette.
Nell’intervista rilascita ieri ad Al Jazeera, Erdoğan ha annunciato il ripristino della pena di morte (“Il popolo la vuole, se il Parlamento mi presenterà la proposta firmerò”), ha detto mentre entrano in vigore misure eccezionali per imporre l’ordine. Provvedimenti che fanno pensare all’Iran di Khomeynī ( basta leggere il libro testimonianza di Shirin Ebadi, Finché non saperemo libero, per cogliere molte inquietanti analogie). Nonostante a parole Erdogan dica di voler rimanere in uno stato democratico.
Attivisti di piazza Taksim e lo stesso Sönmez, avvocato e scrittore laico, che partecipò alla oceanica manifestazione in difesa di Gezi Park ( luogo simbolo della rivolta giovanile per la democrazia) parlano di ronde per le strade per intimidire e impedire ogni forma di protesta che ora implicherebbe mettere a rischio la propria vita. “Restate nelle piazze, la piazza è vostra”, ha detto ai suoi sostenitori nazionalisti Erdoğan anche questa notte via sms. L’opposizione in Turchia è isolata e rischia di essere annichilita.
Ultim’ora : Assieme alla proclamazione dello stato d’emergenza, «la Turchia sospenderà la Convenzione europea sui diritti umani» ha annunciato il vicepremier e portavoce del governo Numan Kurtulmus.