Un'inchiesta di due anni individua un boom di export di armi verso Arabia Saudita, Turchia, Giordania che finiscono in Siria, nelle mani dei gruppi che combattono Assad e l'isis (che spesso non rispettano i diritti umani), ma anche degli uomini del Califfato

Se c’è una cosa che serve per fare la guerra, questa sono le armi. E in Siria, di armi, ne circolano a bizzeffe. L’esercito siriano ha i suoi rifornimenti russi mentre è noto che gli americani e altri europei cercando di sostenere – in maniera meno coordinata e ampia di quanto non faccia Mosca con Assad – le forze ribelli che ritengono affidabili. Poi c’è il fiume di mitra, bazooka, missili che parte dai Balcani. Come racconta un ampio report dell’Organized Crime and Corruption Reporting Project (Occrp), negli ultimi tre anni il flusso di strumenti di guerra partito da Serbia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Bulgaria, Romania, Repubblica ceca e diretto in Medio Oriente è cresciuto in maniera costante. Dal 2012 a oggi il valore dell’export verso quella regione del mondo è pari a un miliardo e 200milioni di dollari e, visto che non si tratta di navi e aerei, le armi sono tante. Il report investigativo che ha impegnato un anno di lavoro, ha identificato 68 voli cargo sospetti, 50 dei quali trasportavano certamente armi.

 

Planes_Map_ENGLISH_hires_1106La mappa i voli, i luoghi di partenza e di destinazione. La larghezza delle frecce indica il numero di voli

 

I voli erano diretti in Arabia Saudita, Turchia, Giordania e trasportavano armi di costruzione – o concezione originaria – russo-sovietica. Si tratta di un particolare importante perché i Paesi dove i voli sono atterrati hanno eserciti che si riforniscono in Occidente – la vicenda dei voli italiani verso l’Arabia Saudita in guerra, cosa vietata dalle nostre leggi, è nota. Non a caso le autorità serbe in passato avevano bloccato una vendita proprio perché consci del fatto che l’esercito di Riad non usa quel tipo di armi e munizioni che stava cercando di comprare. Le spedizioni giunte in Medio Oriente sono quindi dirette ai ribelli siriani di vario ordine e grado per interposta persona. Con l’aggravante che ciascun Paese che funge da intermediario decide e può decidere a chi distribuire o meno il carico che riceve. Che poi questo sia vietato dai trattati internazionali non conta: i Paesi esportatori, si legge nel lavoro di Occrp «prendono per buoni i certificati che garantiscono che le armi non verranno ri-esportate e garantiscono su chi sarà l’utilizzatore finale».

La maggior parte dell’export è diretto in Arabia Saudita, in un caso almeno, ha detto l’ex ambasciatore Usa in Siria, Ford, c’è stata un’offerta croata agli americani, con la Cia che ha coordinato il passaggio di mano. Tutti gli attori in gioco, dunque, partecipano a fornire armi alle forze in campo, in dispregio del fatto che tutte o quasi gli eserciti che combattono in Siria stiano violando regole e convenzioni internazionali su guerra e diritti umani.

In questa brutta partita chi si comporta peggio sono i Sauditi e i Paesi esportatori, vogliosi di far crescere la loro industria degli armamenti. Come dice il premier serbo Vucic nel video qui sotto: «Noi rispettiamo le leggi e siamo vogliosi di esportare tutto quel che produciamo. Sfortunatamente nel mondo si combattono molte guerre». Che poi, come succede sempre in questi casi ed è capitato in passato, ad esempio in Afghanistan, le armi destinate a chi combatte contro Assad e l’Isis finiscano anche nelle mani degli uomini del Califfato sembra non essere una preoccupazione. Non dei paesi balcanici, non a sauditi e turchi, che per anni con Daesh hanno flirtato.