Nel passare il testimone a Hillary, il presidente ha voluto ribadire come la democrazia sia un esercizio difficile, ma che non è con gli slogan rancorosi che l'America può migliorare. I democratici Usa rispondono al populismo di destra con una visione alternativa, per quanto moderata. Non si può dire la stessa cosa per i loro equivalenti europei

Alla convention democratica è stato il giorno di Barack Obama,  di gran lunga il miglior oratore in circolazione da otto anni a questa parte, che non si è smentito nemmeno nell’ultimo discorso da presidente ai democratici, ribadendo e ricordando cosa pensi della democrazia – un esercizio faticoso, il migliore che conosciamo – e della necessità americana di avere sempre avanti una frontiera da raggiungere. Un bel discorso, un attacco al populismo delle risposte facili di Trump e un appello all’importanza per l’America e gli americani di guardare al futuro uniti e in maniera positiva, a scegliere il “noi” al posto dell’io-io-io populista di Trump. E poi un elogio di Hillary che «nessuno, mai, è stato così preparato a fare questo lavoro, non io, non Joe, non Bill».

Il messaggio chiaro mandato da Obama è uno ed è una costante della sua presidenza: l’America, gli americani, vincono se guardano avanti con ottimismo, se mettono da parte il rancore, la rabbia, le divisioni che Donald Trump spaccia per cercare di prendere il suo posto.

Il cambiamento non è facile e non vinceremo le sfide i una presidenza e nemmeno nel corso di una vita, ma affrontarlo è quel che dobbiamo fare. E a novembre dobbiamo scegliere cosa siamo come popolo: le differenze tra repubblicani e democratici le abbiamo sempre avute, ma la settimana scorsa a Cleveland non abbiamo ascoltato idee repubblicane, quel che abbiamo sentito è una visione pessimistica del mondo e l’idea che occorra chiuderci in noi stessi. Non c’erano soluzioni serie, ma risentimento, rabbia, odio. E quella non è l’America che conosco: l’America che conosco ha speranze e ottimismo, nonostante i problemi, le fabbriche chiuse, le stragi terribili come quella di Orlando. Ho viaggiato nei 50 Stati e quello che ho visto in momenti di allegria e di lutto, è quel che c’è di bello in America, non quel che c’è di sbagliato.

Quel messaggio di speranza che lo fece trionfare otto anni fa, Obama lo consegna a Hillary Clinton, che ne ha un bisogno terribile perché la gente non vede in lei una figura pulita come è il primo presidente nero della storia degli Stati Uniti. La sua figura è vista come quella di una che gioca alla politica, qualsiasi cosa dica, faccia, abbia fatto. Il generoso omaggio di Obama al suo carattere è l’ennesimo di una convention che cerca di venderla: ora tocca a lei saper spiegare non solo che è brava a fare il suo mestiere, ma che vuole diventare presidente per gli americani e no per se stessa.

Le parole più efficaci della convention, in termini elettorali sono forse quelle quelle di altre tre figure, piuttosto diverse da Obama e tra loro: il vicepresidente Joe Biden, l’ex sindaco di New York e miliardario padrone di un impero mediatico, Michael Bloomberg e le signora Christine Leinonen, madre di una delle 49 vittime della strage nel locale gay di Orlando, che ha introdotto il discorso di Obama. Parliamo prima del suo discorso breve e toccante. Circondata da due amici del figlio, ha ricordato di come, quando in travaglio, essendo una agente della polizia statale, le misero la pistola in custodia. Oggi, a leggi cambiate, non sarebbe più così. Suo figlio era un sostenitore di Hillary e lei ha scelto di fare un passaggio difficile come quello di parlare del suo dolore e fare campagna contro la diffusione delle armi.

Poi vengono gli attacchi a Trump. Quello di Michael Bloomberg è un appello razionale: l’ex sindaco di New York è un indipendente, ha anche votato repubblicano, ma è talmente spaventato dall’idea di una presidenza del miliardario palazzinaro che ha deciso di metterci la faccia. Ecco cosa ha detto di Trump:

Dato il mio background, ho spesso incoraggiato gli imprenditori a candidarsi, perché molti condividono il mio approccio pragmatico alla costruzione del consenso, ma non tutti. (…) non Donald Trump.

Nella sua carriera, Trump ha lasciato dietro di sé una serie ben documentata di fallimenti, migliaia di cause legali, azionisti arrabbiati,  imprenditori che si sono sentiti presi in giro, e clienti che si sentono derubati. Trump dice che vuole gestire il Paese come ha gestito la sua attività. Che dio ci aiuti!

Sono un New Yorker e so riconoscere una truffa quando la vedo! Trump dice che sarà lui a punire i produttori che si spostano verso il Messico o la Cina, ma i vestiti che vende sono realizzati all’estero nelle fabbriche che pagano bassi salari. Dice che vuole mettere gli americani di nuovo al lavoro (…) Dice che vuole deportare 11 milioni di persone senza documenti, ma sembra non aver avuto mai problemi ad assumerli!

Quanto a Biden, che si è auto-definito “middle class joe” («e a Washington non è un complimento, vuol dire che non sei sofisticato»), si è rivolto a quei bianchi, classe media spaventata e affascinata da Trump. Biden è la loro incarnazione, parla di sé, alza i toni, è truce, sarcastico, ricorda suo figlio morto pochi mesi fa e azzanna il miliardario newyorchese alla giugulare. Sul suo carattere e sulla politica estera.

 

 

Il suo cinismo, la sua mancanza di principi è sintetizzata dalla frase che lo ha reso famoso: “sei licenziato”. Pensate a quel che avete imparato da bambini, a prescindere da dove siete cresciuti. Ma come ci può essere piacere nel dire “sei licenziato”? (you’re fired era la battuta che Trump faceva in tutte le puntate del reality di cui era protagonista, ndr). Davvero Trump sta cercando di dirci che si occuperà della classe media? Ma fatemi il favore! Queste sono parole in libertà e insensate. Io so cos’è la classe media, so perché è forte e perché è unita. Questo qui non ha la più pallida idea di cosa sia la middle class. Non ha idea di cosa sia che rende grande l’America (lo slogan di Trump). A dire il vero, non ha alcuna idea, punto.

Ora, qualsiasi cosa si pensi dei democratici americani e dell’America – e vedremo il discorso di Hillary Clinton stanotte – c’è un fatto che salta agli occhi: con queste primarie e questa convention il partito di Obama guarda alla realtà e cerca di individuare delle risposte: salario minimo più alto, riforma dell’immigrazione e del sistema giudiziario e penale, investimenti in infrastrutture, progressiva legalizzazione della marijuana, ampliamento dell’accesso alla sanità. Dall’altra parte non c’è una ricetta, ma slogan e paure agitate. Le stesse paure che agitano in Europa i Salvini, i Le Pen, i nazisti ungheresi e gente come Nigel Farage. Che dall’altra parte non trovano idee, proposte, ma solo qualcuno che li insegue.