«Avverto il dovere di chiarire le ragioni che mi portano a confermare nel referendum il voto contrario già espresso in Senato sulla revisione costituzionale. C’è pieno accordo sull’esigenza di riforma del bicameralismo. Nessuno l’ha mai messa in discussione, ma forse proprio per il largo consenso sulla soluzione si è smarrito il problema». Così comincia la lettera che Walter Tocci, dalle pagine di Left in edicola da sabato 30 luglio, rivolge ai suoi colleghi dem, militanti e onorevoli. «Si è fatto credere», continua, «che il problema sia la velocità delle leggi, quando è evidente che sono troppe e vengono modificate vorticosamente. L’alluvione normativa soffoca le energie vitali del Paese. Si è raccontata la balla delle lungaggini, ma i provvedimenti con la doppia navetta sono solo il 3%. I più veloci sono anche i peggiori: il decreto Fornero convertito in quindici giorni viene revisionato ogni anno; le norme ad personam di Berlusconi furono come lampi in Parlamento, il Porcellum fu approvato in due mesi circa, ecc.. I tempi sono rapidi quando c’è la volontà politica, soprattutto se negativa. Allora, quale è il vero problema? Non è la velocità, ma la qualità. Si dovrebbe rallentare la produzione legislativa - come insegnava Luigi Einaudi - certo non per perdere tempo, ma per approvare poche leggi, organiche, efficaci, leggibili, e delegando i dettagli l’Amministrazione. Per il resto del tempo il Parlamento dovrebbe dedicarsi al controllo degli apparati, all’indirizzo politico e alla verifica dei risultati». Insomma: «Si, per fare buone leggi valeva la pena di riformare il bicameralismo. Era meglio eliminare il Senato, imponendo alla Camera maggioranze qualificate sulle leggi di garanzia costituzionale; oppure si poteva specializzare il Senato come camera di Alta legislazione, priva di fiducia, ma dedita alla produzione di Codici al fine di assicurare l’organicità, la sobrietà e la chiarezza delle norme. Erano soluzioni forse troppo semplici. Si è preferito invece un assetto tanto arzigogolato da pregiudicare perfino l’obiettivo della velocità. È un bicameralismo abbondante e imperfetto. Il Senato mantiene, seppure in modo contorto e controverso, molti poteri, ma perde l’autorevolezza, diventando il dopolavoro del ceto politico regionale. È un’Assemblea dotata di potestas ma povera di auctoritas. In tali dosi la prima tende a superare i limiti e la seconda non basta a irrobustire la responsabilità. Il risultato è una conflittualità sulle attribuzioni delle leggi, affidata ai Presidenti delle Camere senza soluzione in caso di disaccordo. Il contenzioso viene alimentato da una pessima scrittura del testo. In certe parti assomiglia a un regolamento di condominio, è come uno scarabocchio sullo stile sobrio della nostra Carta. Ora perfino gli autori dicono che si poteva fare meglio. Quale demone ha impedito di scrivere un testo in buon italiano?» Nell'ampio ragionamento che troverete in edicola, o scaricando la copia digitale, Tocci tocca tutti gli argomenti che l'hanno portato a confermare il suo no. «Che il Paese non si possa governare a causa del bicameralismo è la più grande panzana raccontata al popolo italiano nel secondo Novecento», dice, «senza temere il ridicolo, oggi l’establishment promette che il nuovo articolo 70 aumenterà il PIL; ora si promette anche la lotta al terrorismo e altro ancora! È un sacco vuoto che può essere riempito di ogni cosa». E così segnala ad esempio che «la Costituzione è difettosa non nell’articolo 70 ma nell’articolo 49, poiché oggi mancano i partiti per “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”». E «non basta», per Tocci, la nuova legge sui partiti se non migliora la vita pubblica». Per questo, passato il referendum,«riformare la politica è la prima riforma istituzionale del nostro tempo». «Cominciamo almeno dalla nostra parte», è l'appello, «Cambiare il Pd è già una riforma costituzionale». Cambiare il Pd per come è stato dalla sua nascita, ossessionato dalla leadership. [su_divider text="In edicola" style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

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«Avverto il dovere di chiarire le ragioni che mi portano a confermare nel referendum il voto contrario già espresso in Senato sulla revisione costituzionale. C’è pieno accordo sull’esigenza di riforma del bicameralismo. Nessuno l’ha mai messa in discussione, ma forse proprio per il largo consenso sulla soluzione si è smarrito il problema». Così comincia la lettera che Walter Tocci, dalle pagine di Left in edicola da sabato 30 luglio, rivolge ai suoi colleghi dem, militanti e onorevoli.

«Si è fatto credere», continua, «che il problema sia la velocità delle leggi, quando è evidente che sono troppe e vengono modificate vorticosamente. L’alluvione normativa soffoca le energie vitali del Paese. Si è raccontata la balla delle lungaggini, ma i provvedimenti con la doppia navetta sono solo il 3%. I più veloci sono anche i peggiori: il decreto Fornero convertito in quindici giorni viene revisionato ogni anno; le norme ad personam di Berlusconi furono come lampi in Parlamento, il Porcellum fu approvato in due mesi circa, ecc.. I tempi sono rapidi quando c’è la volontà politica, soprattutto se negativa. Allora, quale è il vero problema? Non è la velocità, ma la qualità. Si dovrebbe rallentare la produzione legislativa – come insegnava Luigi Einaudi – certo non per perdere tempo, ma per approvare poche leggi, organiche, efficaci, leggibili, e delegando i dettagli l’Amministrazione. Per il resto del tempo il Parlamento dovrebbe dedicarsi al controllo degli apparati, all’indirizzo politico e alla verifica dei risultati».

Insomma: «Si, per fare buone leggi valeva la pena di riformare il bicameralismo. Era meglio eliminare il Senato, imponendo alla Camera maggioranze qualificate sulle leggi di garanzia costituzionale; oppure si poteva specializzare il Senato come camera di Alta legislazione, priva di fiducia, ma dedita alla produzione di Codici al fine di assicurare l’organicità, la sobrietà e la chiarezza delle norme. Erano soluzioni forse troppo semplici. Si è preferito invece un assetto tanto arzigogolato da pregiudicare perfino l’obiettivo della velocità. È un bicameralismo abbondante e imperfetto. Il Senato mantiene, seppure in modo contorto e controverso, molti poteri, ma perde l’autorevolezza, diventando il dopolavoro del ceto politico regionale. È un’Assemblea dotata di potestas ma povera di auctoritas. In tali dosi la prima tende a superare i limiti e la seconda non basta a irrobustire la responsabilità. Il risultato è una conflittualità sulle attribuzioni delle leggi, affidata ai Presidenti delle Camere senza soluzione in caso di disaccordo. Il contenzioso viene alimentato da una pessima scrittura del testo. In certe parti assomiglia a un regolamento di condominio, è come uno scarabocchio sullo stile sobrio della nostra Carta. Ora perfino gli autori dicono che si poteva fare meglio. Quale demone ha impedito di scrivere un testo in buon italiano?»

Nell’ampio ragionamento che troverete in edicola, o scaricando la copia digitale, Tocci tocca tutti gli argomenti che l’hanno portato a confermare il suo no. «Che il Paese non si possa governare a causa del bicameralismo è la più grande panzana raccontata al popolo italiano nel secondo Novecento», dice, «senza temere il ridicolo, oggi l’establishment promette che il nuovo articolo 70 aumenterà il PIL; ora si promette anche la lotta al terrorismo e altro ancora! È un sacco vuoto che può essere riempito di ogni cosa». E così segnala ad esempio che «la Costituzione è difettosa non nell’articolo 70 ma nell’articolo 49, poiché oggi mancano i partiti per “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”». E «non basta», per Tocci, la nuova legge sui partiti se non migliora la vita pubblica». Per questo, passato il referendum,«riformare la politica è la prima riforma istituzionale del nostro tempo». «Cominciamo almeno dalla nostra parte», è l’appello, «Cambiare il Pd è già una riforma costituzionale». Cambiare il Pd per come è stato dalla sua nascita, ossessionato dalla leadership.

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