Sul rapporto tra terrorismo e malattia mentale interviene Andrea Masini, dirigente psichiatra di una Asl romana e direttore della rivista di psichiatria e psicoterapia Il Sogno della farfalla (L’Asino d’oro edizioni).
C’è la malattia mentale dietro gli attacchi terroristici? E il rischio emulazione?
La malattia mentale indubbiamente c’è, anche se non dobbiamo generalizzare e banalizzare. Non si può considerare la drammatica realtà che stiamo vivendo come frutto solo della malattia mentale. Questa c’entra e va individuata caso per caso. Per esempio, dei due ragazzi dell’attacco alla chiesa vicino a Rouen, uno aveva fatto tre tentati suicidi e anche il modo dell’aggressione al sacerdote fa pensare alla malattia mentale, mentre diverso è il caso del ragazzo di Monaco che aveva tante frustrazioni scolastiche e che poi si è suicidato. Il grande problema della psichiatria è che non sa leggere questi casi e non ha più la sua capacità di aiutare la cultura e la stampa a capire il fenomeno. Al massimo si parla di depressione, ma la depressione non c’entra. È chiaro, ci sono tanti aspetti da valutare, a seconda dei casi: l’attacco al Bataclan non aveva nulla di psichiatrico, mentre invece a Nizza l’attentatore sembra una persona con una debolezza mentale che viene sfruttata più o meno da un’organizzazione islamica. Ma il più delle volte non c’è la depressione, ma la schizoidia, la schizofrenia, la freddezza lucida che a volte nasconde un delirio. Pensiamo a Lubitz, il pilota che fece cadere l’aereo con 150 persone a bordo. Lui aveva un delirio strutturato, ma tutti i giornali dicevano che era depresso. Insomma, la psichiatria deve avere la capacità di dire le cose chiare, di distinguere un caso dall’altro. Detto questo, la componente psichiatrica negli attacchi c’è, e a questa si lega anche l’eventuale rischio delle emulazioni .
Che differenza c’è tra il terrorismo di adesso, quello che abbiamo vissuto in Italia e le stragi in America?
Il terrorismo degli anni 70-80 in Italia è stato tutt’altra cosa. E cosa ci fosse dietro ancora purtroppo non lo sappiamo, rispetto per esempio alle stragi di Bologna o dell’Italicus. È tutta un’altra storia. Così come quella delle stragi in America dove l’Isis proprio non c’entra. Là non c’entra nemmeno il possesso di armi, se mai quello che emerge della società americana, è la sua profonda religiosità. Anche se ha cento chiese diverse, ricordo che l’America ha stampato sulla sua moneta “In God we Trust”, cioè il dio assoluto. In qualche modo questo elemento c’entra con quei violentissimi episodi che spesso vedono un ragazzo che si arma, torna a scuola e fa una strage. Anche in questo caso da denunciare è l’incapacità assoluta della psichiatria americana – ormai tutta organicista – di vedere cosa c’è dietro ai giovani protagonisti di queste stragi. Di nuovo si può parlare di schizoidia e schizofrenia lucida.
Lei parla di religiosità della società Usa e negli attentati affiora comunque la religione. Nasce da qui la paura della gente?
Assolutamente sì. Credo che quello che sta dicendo il papa, ovvero che tutte le religioni sono simili e che devono essere alleate, significa annullare duemila anni di storia durante i quali si è verificato uno scontro, in particolare tra i monoteismi in cui esiste una differenza di pensiero notevole, dal discorso del peccato originale all’incarnazione di dio. I concetti del Cristianesimo sono inconciliabili con le altre religioni. La religione monoteista porta – contrariamente a quanto dice il papa – all’eliminazione dell’altro, a dire che il mio dio è quello vero e il tuo è quello falso. Così il fondamentalismo islamico si scontra con un altro fondamentalismo, stavolta cattolico, del “In God we trust”, che da anni rivendica la verità, di aver raggiunto il massimo dello sviluppo umano.
(Articolo pubblicato su Left del 6 agosto 2016)