Al raduno di ieri a Istanbul per celebrare i civili morti durante il golpe dei militari ha detto che se il popolo vuole la pena di morte, lui non si opporrebbe, anzi.

La scena vista dall’alto fa una certa impressione. Un tappeto di bandiere rosse – quelle della Turchia – in una spianata davanti a un palco rosso e dietro il blu del mar di Marmara. Un bagno di folla utilissimo e ben orchestrato. Sono più di un milione, secondo vari media internazionali, le persone arrivate nella spianata di Yenikapi, nella parte europea di Istanbul per il mega-raduno di ieri definito “per la democrazia e per i martiri” voluto dal presidente Recep Tayyip Erdogan. Era in ricordo per i circa 270 civili morti durante gli scontri del 15 luglio, la notte del “golpe” effimero dei militari durato l’arco di quattro ore o poco più.

Ma è chiaramente una manifestazione simbolica per rafforzare la propria immagine e trasmetterla all’esterno, verso quell’Europa che è sempre più ostile verso il nuovo “Sultano”. La scenografia è curata nei minimi dettagli, sono ammesse soltanto le bandiere turche, nessun simbolo dei partiti che sono stati invitati a partecipare. In tutto il Paese in 81 località i maxi schermi trasmettono il collegamento da Istanbul, si calcola che tre milioni di persone ieri hanno assistito alla parata trionfale di Erdogan.

Oltre a lui, sul palco, il premier Binali Yldirim, le autorità religiose – c’è stata anche una preghiera – e due dei tre leader dell’opposizione Kemal Kilicdaroglu del Chp e Devlet Bahceli del Dhp. Non è stato invitato invece Demirtas del partito filocurdo Hdp che pure aveva preso posizione contro il golpe dei militari. Erdogan è arrivato in elicottero, vestito di blu senza cravatta, occhiali da sole, aveva a fianco la moglie Ebine vestita tutta di bianco. Il presidente turco ha arringato la folla ricordando i “martiri” del 15 luglio e l’ha invitata a salutare le persone che sono rimaste ferite durante il fallito attacco. Così fa un certo effetto vedere persone umili, contadini magari venuti dall’Azerbaigian o dall’Afghanistan rivolgersi verso le telecamere e fare ciao con la mano.

Sono circa 60mila le persone  arrestate nel dopo golpe, tra insegnanti, accademici legati a colui che è considerato il nemico numero uno, l’imam Fethullah Gulen, adesso negli Stati Uniti, poi giornalisti e naturalmente militari. Di Gulen il premier Yldirin ha assicurato che verrà in Turchia “e pagherà per quello che ha fatto”. Il bagno di folla è chiaro che serve a Erdogan, oltre che per rafforzare la propria immagine all’estero, anche per sdoganare quel cambiamento della Costituzione che è uno dei suoi principali obiettivi.

Così ha potuto dire ieri davanti alla folla che se il popolo la vuole, si può introdurre la pena di morte, i partiti la voterebbero e lui non si opporrebbe, anzi.”Approverei la pena di morte se il Parlamento votasse pe rintrodurla”. Se dovesse accadere, il rapporto con i Paesi europei si farebbe ancora più teso e l’Unione dovrebbe prendersi la responsabilità finalmente di chiarire una volta per tutti la questione dei diritti civili e umani che nel dopo golpe sembrano decisamente calpestati. Basti pensare agli ordini d’arresto per centinaia di giornalisti e alle testate dell’opposizione fatte chiudere o controllare.

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.