La denuncia era già arrivata da Human Right Watch e Amnesty International nei giorni scorsi. Oggi la conferma nei documenti riservati pubblicati dal britannico Guardian: i rifugiati detenuti nel campo profughi di Nauru, centro di detenzione (uno dei due attivati dall’Australia) su un’isola nel mezzo del Pacifico, hanno subito violenze di ogni tipo.
Le ottomila pagine dei 2.116 report – risalenti al periodo tra maggio 2013 a ottobre 2015 – trapelati dal campo per richiedenti asilo descrivono aggressioni, abusi sessuali, tentativi di autolesionismo, definendo un quadro di ordinaria crudeltà soprattutto ai danni di minori, le cui vicende sono descritte in ben 1.086 documenti, oltre la metà di quelli analizzati, pur essendo i bambini soltanto il 18% sul totale dei detenuti di Nauru.
I file contengono diverse storie: dalle minacce di morte rivolte a un ragazzo da parte di una guardia carceraria alle percosse. Nel settembre 2014 un insegnante ha riferito che a un giovane che aveva chiesto di fare una doccia di durata doppia – 4 minuti al posto di 2 – erano stati chiesti in cambio favori sessuali. Numerosi gli episodi che entrano nei dettagli di abusi e violenza sessuale, così come quelli di ragazzi che si cuciono le labbra e compiono altri atti di autolesionismo.
Dopo le prime notizie trapelate nei giorni scorsi il premier australiano ha annunciato un’inchiesta, ma è lo stesso governo ad essere sotto accusa per aver sempre descritto una situazione in costante miglioramento e per aver sottovalutato le segnalazioni giunte da più parti, in particolare dalle persone impiegate a vario titolo nel centro di detenzione di Nauru: assistenti sociali, guardie, insegnanti e personale medico.
A fine di giugno, si contavano 442 persone detenute sull’isola: 338 uomini, 55 donne e 49 bambini. Con i suoi 10mila abitanti, Nauru è lo Stato isola più piccolo al mondo e fornisce all’Australia questo “servizio” in cambio di aiuti. L’altro centro in mare aperto, sull’isola di Manus in Papua Nuova Guinea, ospita 854 persone, tutti gli uomini. Entrambi i centri, riporta il Guardian, costano ai contribuenti 1,2 miliardi di dollari l’anno, e gli australiani hanno diritto di sapere cosa accade lì dentro e quali sono le conseguenze delle loro politiche migratorie iper-restrittive e spesso noncuranti dei diritti umani.