Gioco, partita, incontro, si direbbe in altre discipline. Ma quella di Alex Schwazer è stata una lunga marcia in cui dopo la caduta non gli è stato concesso di rialzarsi. 8 anni di squalifica per la positività a testosterone in un campione di urina raccolto il giorno di capodanno, analizzato in Germania qualche giorno dopo, rianalizzato in seconda battuta oltre tre mesi dopo l’esame che inizialmente aveva dato esito negativo. I risultati di quelle “controanalisi” sono stati resi noti soltanto a giugno, dopo che l’8 maggio il marciatore è tornato a vincere qualificandosi per Rio 2016 con ottimi tempi. Proprio a Rio, dove Alex – nonostante una condizione psicologica evidentemente difficile – era volato con un sottilissimo filo di speranza di avere l’ok dal Tribunale sportivo e di correre la 20 Km di domani, venerdì 12, e soprattutto la 50 Km del 19 per dimostrare che si può tornare puliti e vincenti.
Il Tas ha chiuso la partita e l’incontro, dicevamo. Quello del 31enne Schwazer con l’agonismo probabilmente. Otto anni sono tanti. Aveva provato, in udienza, a giocare tutte le sue carte: documenti, testimoni, presentazioni video e soprattutto i risultati di tutte le altre analisi a sorpresa di questo 18 mesi di preparazione, quelle “ufficiali” e quelle parallele effettuate dall’equipe del San Giovanni di Roma. Non gli resta che crollare, ora, e dopo questa sentenza annunciata dire: «Sono distrutto». Aggiunge che quelle 10 ore di udienza davanti ai giudici sportivi, con il suo allenatore Sandro Donati a lottare con lui spiegando dettagli tecnici e questioni politiche, gli avevano lasciato addosso uno scampolo di fiducia, svanito il quale resta ora «solo una grande amarezza». E aggiunge Alex: «Non conosco ancora le motivazioni ma mi pare si siano limitati ad una semplice cosa tecnica. Credevo di poter partecipare alle Olimpiadi di Rio, è da oltre un anno che lavoro e facendo parecchi sacrifici, soprattutto economici».
Un’udienza, quella di Rio, che ha rivelato nuovi particolari su quel famigerato controllo di capodanno 2016: gli ispettori sapevano da 15 giorni prima di doverlo effettuare e questo avrebbe da un lato potuto comprometterne la riservatezza e dare a qualche malintenzionato il tempo di produrre in molti modi la positività, dall’altro riapre la disputa sulla scelta di un giorno festivo per fare il controllo, con le analisi che non si potevano così effettuare subito e quindi – ancora una volta – esponevano il campione a rischio di alterazioni successive.
Le ombre su questa vicenda si amplificano, dunque, e Sandro Donati dal canto suo continua a mettere a disposizione di tutti le prove che Schwazer è pulito e ad affermare che avrebbe vinto a man bassa a Rio. Non vuole parlare di sé, della fatica di questi mesi e del suo lungo impegno contro il doping e la corruzione nello sport che già in passato gli è costato ripicche e ritorsioni. E conferma ciò che aveva confidato a Left alla vigilia dei giochi: «Di riffa o di raffa dovevano eliminare Schwazer». L’oro olimpico deve andare ad altri e i tempi del marciatore altoatesino, frutto delle sue doti e di un allenamento curato nei minimi dettagli, sono spaventosi. «Stamattina – dice mister Donati – ha marciato per una quarantina di km a una velocità che tolti uno o due marciatori nessuno saprebbe tenere nemmeno in gara» dice, aggiungendo che la cosa più dolorosa è il fatto che all’atleta questa condanna ha «stroncato la vita».
Giungendo peraltro al culmine di una serie di accuse infamanti, attacchi immotivati, o interessati. «Avete visto con quale tecnica, anche medici interessati da procedimenti giudiziario, si siano affrettati a definirlo persino “bipolare”. Alex è lineare, coerente, semplice, affidabile. Ha sbagliato una volta, con sua quota di responsabilità coinvolgendo anche la Kostner in una cosa in cui non entrava niente» dice Donati. Che aggiunge: «C’è stata un’opera di delegittimazione di Schwazer appena ha iniziato a lavorare con me, con foto mandate in giro. Ex miracolati di Conconi (medico in passato accusato per doping, ndr). Alex marcia alla grande, non gli è mai stato alzato un cartellino rosso. Si è pagato tutto di tasca sua, e lo hanno accusato di fare marketing».
Ora resta da gestire il dopo e la speranza che Schwazer smaltisca l’amarezza e ritrovi presto un suo equilibrio. Dopo Rio, dove è arrivato con un grande sforzo anche economico, avrebbe comunque lasciato. Ora a Giochi – olimpici e non – ormai chiusi, ci sarà la serie di ricorsi fino alla Corte federale svizzera, alla giustizia ordinaria e all’esame del Dna, finora non preteso con insistenza per non allungare i tempi e compromettere la partecipazione alle Olimpiadi. Ma la marcia olimpica la vincerà qualcun altro. E potrebbe essere qualcuno che ha legami con settori dello sport in conflitto d’interessi, troppo presi da altri affari per concedere la seconda possibilità a un atleta che ha sbagliato una volta.