Yanis Varoufakis, ex ministro delle Finanze greco, va al PlanB di Madrid perché vuole ricostruire la democrazia in Europa. «Tutte le politiche di Bruxelles degli ultimi cinque anni sono state un fallimento. Serve un nuovo Piano»

Lo inseguiamo per due giorni. Lo osserviamo. Seduto tra i tanti sul palco del PlanBEuro- pe di Madrid, interviene. Ascolta gli altri, si sente ospite, nessun cenno di protagonismo. Ma il protagonista è lui. Dà lezioni su democrazia e capitalismo persino nella saletta della colazione, tra lo sguardo basito di Alberto Garzón (Izquier- da Unida) che pende dalle sue labbra e di noi giornalisti che li guardiamo invidiosi. Vorremmo stare a quel tavolo, senza barriere, per ascoltare che pensa l’ex ministro delle Finanze greco, il primo ad essersi ribellato alla Troika per il suo dèmos. E per la democrazia, che, ripete, «non è un lusso». Ma a noi ci fa aspettare, ci vede dopo e tutti insieme. Le domande sono tantissime.

Perché la democrazia dovrebbe battere l’austerity?
La mancanza di democrazia è la causa degli scarsi risultati economici e gli scarsi risultati economici sono la causa della frammentazione dell’Europa, e la frammentazione dell’Europa è la causa dell’emergenza dei nazionalismi. Le istituzioni dell’Ue crollano, i cittadini europei di sinistra, come di destra e di centro, hanno perso la ducia in queste istituzioni. La Sinistra ha il dovere morale e storico di creare una coalizione ampia per la democrazia. Dobbiamo cercare di stabilizzare l’Europa e poi costruire quella del futuro, capire come liberarci dei muri che cau- sano incertezza, oscillazioni, autoritarismi, che a loro volta determinano risultati economici devastanti, oltre ad uccidere la ducia della nostra gente. Ecco perché siamo qui. La Spagna ha rifiutato il vecchio, ha rifiutato le menzogne sul successo economico degli scorsi cinque anni di Troika. E questo lo ha fatto il popolo spagnolo. Ora qui nascerà un nuovo governo e poi una nuova Europa. Noi, insieme, dobbiamo assicurarci che nasca.
Di che menzogne parla?
Il motivo per cui gli spagnoli hanno fatto cadere il governo Rajoy è perché non hanno bevuto la storia del successo economico. Se ci avessero creduto, adesso Rajoy sarebbe primo ministro con una maggioranza assoluta in Parlamento. Nessun successo grazie alle politiche di austerity né qui né in Grecia, purtroppo. Quindi, qualunque go- verno emerga anche in Spagna, le domande sono sempre tre: 1. Cosa si farà con il sistema banca- rio che in questi anni non è mai stato indagato in modo adeguato; 2. Abbiamo una nuova crisi economica globale alle porte, i mercati emergenti la stanno producendo, e arriverà in Europa. Il sistema bancario (anche spagnolo) è inadeguato e ancora una volta, le fasce più deboli della socie- tà saranno chiamate a pagare il debito; 3. Gli investimenti non sono mai stati così bassi, nell’at- tività produttiva non è stato mai investito così poco come oggi, quindi quello che, per esempio, il prossimo governo spagnolo dovrà mostrare è come farà a ripulire le banche e a produrre investimenti. Ovviamente la risposta dipende molto da Bruxelles, perché nessuno dei nostri governi ha gli strumenti per affrontare da solo questi problemi. Solo che tutto ciò che è stato fatto da Bruxelles negli ultimi 5-6 anni è fallito, quindi ab- biamo bisogno di un nuovo piano per l’Europa.
Teme che in Spagna possa accadere come in Grecia, che il processo democratico venga interrotto brutalmente?
Una delle tragedie degli ultimi 5 anni è che sebbene le differenze tra destra e sinistra siano evidenti, quando si arriva al governo, queste differenze vengono tenute fuori dal sistema. Noi di Syriza siamo stati eletti a gennaio dello scorso anno, proponendo un pacchetto di proposte politiche che ritengo fossero ragionevoli. Le abbiamo portate a Bruxelles e siamo stati schiacciati! Un vero colpo di Stato. Non hanno usato i carri armati, ma le banche. Il 13 luglio il mio primo ministro ha rmato un documento di resa, accettando di portare avanti la loro politica. E, adesso, abbiamo eletto un governo che sta portando avanti le stesse politiche che eravamo stati chiamati a combattere, che non potranno mai essere realizzate e che lo stesso Schäuble sa che non possono funzionare. Quindi qual è il motivo di avere un governo di sinistra che porta avanti politiche che non solo falliranno ma che tutti sanno che falliranno?
La questione, dunque, non è di avere un governo di sinistra al potere; neanche i governi di destra, o neoliberisti, portano avanti politiche neoliberiste. È un mito! L’idea di salvare le banche non è in linea con quanto sostenuto da Frederic Von Hayek e dai guru neoliberisti. L’idea che i contribuenti debbano essere strizzati e schiacciati per assicurarsi che le banche non perdano un euro non è affatto in linea con le politiche neoliberiste. La realtà è che abbiamo neoliberisti che non perseguono politiche neoliberiste e partiti di sinistra che non perseguono politiche di sinistra. Questo è il motivo per cui la nostra democrazia è stata completamente svuotata. Perché abbiamo invece un’autocrazia incompetente a Bruxelles che si preoccupa solo di una cosa: di non essere sfidata, di non dovere ammettere che le sue politiche hanno fallito. Per questo abbiamo bisogno di un governo progressista in Spagna, in Portogallo, in Germania, in Francia. In realtà, abbiamo bisogno di un governo che dica la verità. Sia pure di destra o neoliberista, l’importante è che non applichi le solite vecchie ricette già fallite.
Si discute di debito e di rifugiati allo stesso modo in questa Europa. Si fanno calcoli su vite umane, considerate pezzi o quote…
La crisi dei rifugiati ci dice che come europei abbiamo “collettivamente” fallito. E che se non si cambia direzione, scriveremo una delle pagine più nere della nostra Storia. Io sono molto ero dei greci e di quello che stanno facendo. Sono persone che negli ultimi 5-6 anni hanno subito pressioni enormi, ci sono bambini nelle nostre scuole che soffrono di malnutrizione, ma la mia gente alle migliaia di rifugiati che stanno arrivando apre case e cuori. Mentre i leader europei chiedono ad Erdogan di aprire le frontiere per riprendersi i siriani e a noi greci ci sgridano perché invece quelle frontiere non le chiudiamo. Militarizziamo le frontiere, utilizziamo la Nato, blocchiamo i rifugiati, per fare cosa? Per riportarli dove? Indietro da dove scappano? L’unica cosa da fare è lasciarli entrare. Tutti. Quando qualcuno bussa alla vostra porta, nel bel mezzo della not- te, qualcuno a cui hanno sparato, che è bagnato, stanco, ha fame, ha dei bambini, non è possibi- le fare il calcolo costo-bene ci se aprire o meno quella porta. Quella porta si apre e basta! È il nostro dovere, insieme a quello delle Nazioni unite. L’Europa è abbastanza grande e abbastanza ricca per farli entrare. Poi, ci preoccuperemo di come fare. Ma prima li facciamo entrare, gli diamo da vestire, da mangiare, ci assicuriamo che non muoiano, che non anneghino e poi troveremo un modo per integrarli. E ancora un’ultima cosa, noi europei abbiamo una storia di migliaia di anni di colonializzazione del mondo. Abbiamo “esportato” milione di persone, abbiamo ucciso centinaia di migliaia di persone nelle Americhe, in Australia. Ci siamo impossessati delle loro terre, li abbiamo schiavizzati, abbiamo preso l’Europa e l’abbiamo ricreata a nostra immagine, strana immagine, in tutto il mondo. Sapete una cosa? I morti non sono cambiati, i dati demogra ci sono cambiati, ed ora il resto del mondo sta popolando l’Europa di nuovo. Sarà meglio per noi capire che è così, e trovare un modo umano di gestire il fenomeno, traendo vantaggio da esso.
Siamo in Spagna, inevitabile pensare agli Indignados. L’indignazione rimane uno strumento di lotta?
La maggior parte degli europei oggi non si da delle istituzioni dell’Ue. C’è tantissima indignazione in Europa. La domanda è che cosa farne di tutta questa indignazione? Le permettiamo di alimentare i nazionalismi? O il fascismo di quelli che ritengono che la soluzione al terrorismo in Francia sia ritirare la cittadinanza ai francesi che non sono esattamente francesi? Cadiamo nella trappola della disintegrazione per nire uno contro l’altro, come abbiamo fatto negli anni Trenta? Oppure incanaliamo questa indignazione per una ricerca democratica, in un movimento democratico che fermi le cause di questa indignazione? Questa è la cosa più importante.
Non le sembra troppo semplice dire che non bisogna “pagare il debito”?
Beh, noi di sinistra siamo stati accusati di essere degli utopisti. Ma io non riesco a pensare a nulla di più “utopico” di ciò che Miguel Urbán ha detto ieri, dell’idea che il debito pubblico e privato totale europeo verrà ripagato. Non sarà ripagato! Sarà ristrutturato in un modo o nell’altro. Un debito inesigibile non è ripagabile. Può essere ristruttu- rato. Una sola domanda: in Europa, quante volte la Germania ha dovuto ristrutturare il suo debito negli ultimi 100 anni? Molte volte! E la Gran Bretagna? In che modo è riuscita a diventare una po- tenza? Ristrutturando il debito, non pagandolo. Il pensiero che ogni euro di debito debba essere ripagato non è neanche un concetto neoliberista. Secondo la dottrina neoliberista, la bancarotta è necessaria, la bancarotta per il capitalismo è quello che l’inferno è per i cristiani, spiacevole ma essenziale. Altrimenti non funziona! Quindi il debito sarà ristrutturato, sarà ridotto, la domanda è come, visto che ci sono diversi modi per farlo. Per farvi un esempio, General Motors, la compagnia automobilistica americana, nel 2009 è fallita; oggi sta crescendo, perché nel 2009 il suo debito è stato tagliato per il 90%; il 90% di riduzione del debito della GM è stato poi ristrutturato. Ora, se avessero aspettato altri due anni, non ci sarebbe stata una ristrutturazione del debi- to, l’azienda sarebbe stata chiusa e il debito dimenticato. Quindi, la questione non è se tagliare il debito, ma come sarà ristrutturato. Per esempio, con un Green new deal, un nuovo progetto che prenda circa 3 trilioni di euro di giacenze in contanti, soldi privati fermi, e li converta in investimenti, in cose che servono alla società, come l’energia verde, al ne di creare posti di lavori che producano reddito e che per- mettano poi al nostro debito di essere estinto.
Non parla mai di Italia, cosa pensa di quello che sta facendo Renzi, della essibilità che sta chie- dendo in Europa? Crede sia troppo poco?
Ci sono state volte in cui Renzi ha s dato le regole dell’Eurozona, e mi sembrava stesse seguendo la strada giusta perché sono regole impossibili; il primo Paese a non rispettarle è stato la Germania, poi la Francia. Invece Renzi ha totalmente torto quando ritiene che la soluzione sia che Bruxelles “chiuda un occhio” di fronte alle violazioni delle regole da parte dell’Italia. No, non è accettabile. Quello che dovrebbe fare in qualità di primo mi- nistro di un grande Paese dell’Ue è andare a Bruxelles e dire: voglio una conferenza per ridiscute- re le regole! Perché se i cittadini tedeschi pensano che il primo ministro italiano o quello spagnolo o quello greco vogliono chiedere eccezioni per i loro Paesi, non capiscono. Se invece diciamo che queste regole non possono essere rispettate neanche dal loro governo, costruiamo un dialogo giusto. Possibile, pragmatico, solo così avremo la possibilità di unire l’Europa. Quindi Renzi dovrebbe seguire questa strada e non, come sta facendo ora, quella sbagliata.
Si rischiano due Europe? Sud contro Nord?
La Spagna è sempre stato un importante campo di battaglia per la democrazia, a partire dal 1936. Adesso il testimone è tornato a lei. Ma è importante non cader preda delle divisioni in corso, non è il Sud contro il Nord, la Spagna contro la Germania. La crisi colpisce tutti. Persino la Germania, dove gli operai fanno fatica ad arrivare a ne mese e i servizi, gli ospedali e le scuole stanno diminuendo. Il problema è che si sentono dire che è per colpa dei prestiti che il loro governo è costretto a farci. E questo ci mette gli uni contro gli altri. Questa disgregazione è da fermare.
Come pensa di costruire una nuova egemonia culturale, diversa dal liberalismo e che superi la sconfitta del marxismo? Che idea di uguaglianza possiamo perseguire oggi?
L’idea della democrazia. La democrazia è riportare il dèmos nella democrazia.
Ma lei lo sa, il dèmos la Storia ce lo ha sempre descritto “naturalmente” incline alla violenza, pericoloso. Da controllare…
No. Non è affatto vero. Il dèmos è dialogo. È dialettica. È democrazia.

(Prima che vada via, gli regalo uno dei miei libri preferiti, Le gambe della sinistra, di Elisabetta Amalfitano, e lo saluto a malincuore)


Questo articolo è stato pubblicato su Left n. 9 del 27 febbraio 2016