Per fare largo alle luci della ribalta delle Olimpiadi, dal 2009 a oggi 77.206 persone, in 29 favelas, sono state rimosse. Mentre il combinato di leggi straordinarie rende impossibile, di fatto, manifestare il dissenso
testo di Luigi Spera e foto di Marco Negri – da Rio De Janeiro

È quando il sole inizia la sua discesa che i contrasti cromatici cominciano a esaltarsi. Con la luce che circonda un’area urbanizzata in modo stratificato, confuso e singolare. Da un lato, la linea orizzontale, punto più alto della stazione della metropolitana Maracanã, segna la base della favela di Mangueira, dove un’irregolare distesa di casette di mattoni grezzi ricopre la collina. Dall’altro lato, spalle alla favela, una lunga rumorosa fila di auto bloccate nel traffico attraversano passarelle di cemento che dalla stazione conducono a sinistra verso lo stadio tempio del calcio carioca e a destra verso un oscuro palazzone, l’Uerj, Università di Stato di Rio de Janeiro. Uno stadio, una favela e un’università pubblica a pochi metri di distanza. L’ombelico della metropoli carioca è la sintesi delle vecchie e nuove contraddizioni della città dei mille contrasti. Contrasti (e contraddizioni) che le olimpiadi hanno accentuato. Sembra passato un secolo da quando nel 2009, spinto da un’economia in forte espansione, il Brasile spuntava il diritto di ospitare le olimpiadi 2016. Sette anni dopo, i numeri della crisi segnano un tonfo, con i feroci tagli alla spesa pubblica che rimarcano le ingiustizie sociali. Mentre i costi delle strutture olimpiche a Rio continuano a lievitare. Passati dai 4,2 miliardi di dollari previsti nel 2007 agli oltre 12 miliardi già spesi finora. Con la coperta troppo corta per pensare a tutto, lo Stato ha dovuto ristabilire le priorità.

Uerj. L’Uerj e il Maracanã, divise da appena una strada, sono le due facce della stessa medaglia. «Mentre lo stadio riceveva miliardi di investimenti, all’università è stato impossibile tenere in vita i servizi di manutenzione, pulizia, sicurezza», racconta la studentessa Daniella Monteiro. Dall’inizio dell’anno lo Stato ha smesso di trasferire fondi all’università, causando ritardi e rateizzazione nei pagamenti degli stipendi di professori, tecnici, delle borse di studio per gli studenti, e lo stop del pagamento dei lavoratori delle società esterne: 700 persone licenziate a luglio con sette mesi di arretrati. «L’università è stata abbandonata al proprio destino», è deluso il professore Luiz Claudio Santamaria. Muoversi tra i corridoi dell’Uerj rimanda sensazioni di abbandono: la raccolta dei rifiuti è a singhiozzo, la manutenzione è sospesa, i bagni sono in maggioranza inutilizzabili. Il governo statale in default «per due volte – dice il giovane Victor Franco – ha ricevuto prestiti dal governo federale: la prima volta i soldi sono stati usati per terminare la linea 4 della metro; la seconda volta, due miliardi e 900 milioni di Real, sono stati destinati alla sicurezza». A gennaio anche l’ospedale universitario ha smesso di ricevere denaro.

Pochi secondi prima dello sparo. Una ragazzina, che trascinata dalla madre impaurita si copre gli occhi alla vista dei poliziotti con i fucili puntati
Pochi secondi prima dello sparo. Una ragazzina, che trascinata dalla madre impaurita si copre gli occhi alla vista dei poliziotti con i fucili puntati

Rimozioni. «La priorità – sintetizza il professor Dario Sousa de Silva – è la creazione della fantasia di una città olimpica e di grandi eventi, dove sanità, istruzione e benessere della popolazione sono una seconda o terza opzione». Nulla di fantasioso ha invece il concretissimo, elitario ed escludente piano di revisione urbanistica segnato dalla gentrification che ha investito città e favelas. Sul palco del Maracanã nel corso della cerimonia di apertura dei giochi, la rappresentazione di una favela ha fatto da scenografia a lungo. La cultura delle comunità carioca è stata sfruttata a fini propagandistici, mentre la realtà fuori dagli schermi è fatta di violenze, rimozioni, militarizzazione e speculazione. A meno di un chilometro pare possibile ancora sentire le urla delle famiglie tirate via a forza dalle proprie case nella notte dalla polizia, mentre una ruspa le demoliva. Quella di Metro Mangueira è stata una favela rimossa solo perché prossima allo stadio principale. Una macchia da eliminare. Non l’unica. «Gli eventi sportivi internazionali a Rio hanno segnato un ritorno all’antica caratteristica di scarso rispetto per il diritto alla casa. La coalizione tra le autorità e le grandi imprese ha accelerato un processo di”pulizia sociale” delle aree di maggiore pregio della città. Il progetto di attrazione degli investimenti, in vista degli eventi, ha avuto come componente l’espulsione dei poveri dalle zone di valore della città», rivela la relazione su Megaeventi e violazioni dei diritti umani realizzato dal Comitato popolare coppa del mondo e Olimpiadi a Rio de Janeiro. I numeri sono impressionanti: dal 2009 a oggi ben 77.206 persone in 29 favelas sono state rimosse per fare spazio alle opere legate alle Olimpiadi.

Questo reportage da Rio de Janeiro continua su Left in edicola dal 20 agosto

 

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