Quando il 27 maggio del 1964 l’esercito colombiano, con l’appoggio statunitense, irrompe nelle regioni di Tolima e Huila con 16mila soldati per reprimere le esperienze di autorganizzazione contadina – le ritiene «inaccettabili repubbliche indipendenti» -, quei contadini decidono che la resistenza e la lotta armata sono l’unica strada per cambiare la Colombia. Da quel giorno – e per 50 anni – i guerriglieri comunisti delle Farc (le Forze armate rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo) attaccano stazioni di polizia e postazioni militari, fanno ronde e imboscate contro le forze di sicurezza colombiane, il loro nemico principale. E da 50 anni ne subiscono gli attacchi spietati. Perciò il 24 agosto è un giorno storico per la Colombia. «Abbiamo vinto la più bella di tutte le battaglie. La guerra con le armi è finita, ora inizia il dibattito delle idee». Così il negoziatore delle Farc, Ivan Marquez, da La Havana, ha annunciato l’accordo finale di pace tra il governo colombiano e i ribelli, che verrà firmato ufficialmente a settembre.
Bogotà è in festa nei parchi e nelle strade, questo accordo mette fine a mezzo secolo di guerra civile: 260mila morti, 45mila scomparsi, quasi 7 milioni di sfollati. E pone fine anche a quattro anni di colloqui a Cuba. I colombiani festeggiano, in attesa di votare il 2 ottobre al referendum nazionale che ratificherà l’accordo: «Colombiani, la decisione è nelle vostre mani. Mai prima d’ora i cittadini del nostro Paese hanno avuto a portata di mano la chiave per il loro futuro», ha detto nel discorso trasmesso in Tv il presidente Juan Manuel Santos, rieletto nel 2014 proprio con la promessa dell’accordo di pace.
Cosa dice l’accordo
L’accordo arriva dopo l’intesa sul cessate il fuoco raggiunta il 23 giugno scorso alla presenza del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. Firmato in via preliminare dal negoziatore del governo, Humberto de la Calle, e quello delle Farc, Luciano Marín Arango detto Ivan Marquez, davanti al ministro degli Esteri cubano Bruno Rodriguez, l’accordo garantisce che le Farc avranno una rappresentanza al Congresso, senza diritto di voto fino al 2018 quando i 7mila ribelli potranno partecipare alle elezioni come ogni altro partito politico. L’accordo prevede anche una riforma agraria, un’azione congiunta contro il traffico di droga e la creazione di tribunali speciali per il post conflitto.
Le reazioni internazionali
«Gli Stati Uniti sono orgogliosi di appoggiare la Colombia nella sua ricerca di pace», ha detto l’ancora presidente degli States Barack Obama, che si è congratulato al telefono con Santos, impegnandosi a mantenere «la tradizione bipartisan statunitense di appoggio al rafforzamento delle istituzioni della Colombia», attraverso il piano Peace Colombia, che prevede 450 milioni di dollari a sostegno di Bogotà. La nota ufficiale, poi, evidenzia che i due presidenti hanno concordato di mantenere una stretta collaborazione nella lotta al crimine organizzato e al narcotraffico. Anche l’Unione europea interviene per voce dell’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, Federica Mogherini: «Un’opportunità storica e unica per la pace».
Mentre il continente latinoamericano è in preda a golpe bianchi e crisi politiche – dal Brasile al Paraguay, dall’Argentina al Venezuela – i colombiani e i mediatori cubani incassano questa vittoria di diplomazia. Non per fare i guastafeste, ma resta da vedere quanta resistenza contro questo accordo di pace metterà in campo la frangia conservatrice del Paese dell’ex presidente Álvaro Uribe, che alla vigilia della firma ha già tuonato: «Il presidente Santos non ha raggiunto la pace. Ha consegnato la Colombia alle Farc». Uribe non si è fatto scappare l’occasione per attaccare Caracas: «L’abdicazione di Santos davanti alle Farc ha tracciato una strada che porta dritta al Venezuela. Il presidente era la voce più critica del regime chavista. Con l’accordo di pace si è trasformato nel suo migliore amico. Il mondo deve esigere che Maduro accetti di far svolgere il referendum sulle sue dimissioni entro quest’anno». Un altro venezuelano, con buone probabilità, gli avrebbe risposto che «quelli che hanno servito la rivoluzione hanno arato il mare».