Come si risponde al calo demografico? Come si cambia prospettiva sulle donne? Che domande, con delle cartoline e il fertility day

Il 31 dicembre 2015, in Italia vivevano 60.665.551 persone, lo stesso giorno del 2014 erano invece 60.795.612, circa 130mila in più.  In Italia prosegue la diminuzione delle nascite in atto dal 2008. Nel 2015 i nati sono meno di mezzo milione (-17 mila sul 2014) e gli stranieri erano il 14,8% del totale. I morti sono stati circa 150mila in più dei nati e l’età media continua a crescere. Non c’è che dire, l’italica razza non è messa bene e non sarebbe male – per avere un Paese più dinamico, al passo coi tempi, che guarda avanti anziché indietro – se ci fossero più giovani. Dunque, se si facessero più figli.

E allora perché la campagna di cartoline che annuncia il #fertilityday per il 22 settembre ha generato il finimondo? Il numero di argomenti è quasi infinito. Ci sono il nome e il tema scelto: fertilità da difendere e proteggere. Come se il problema vero e serio del Paese fosse quello della fertilità – che pure forse è in lieve calo, ma non tale da giustificare il dato demografico. C’è la campagna insultante nei confronti delle donne: la cartolina che più è stata rilanciata sul web è quella con la donna che, clessidra in mano, ci ricorda che a un certo punto si diventa infertili (anche se restate sempre belle, belle). Meglio farli subito i figli, dunque. “Sbrigatevi, che diventate infertili, vecchie e inutili” – di quanto sia delicata la campagna con le donne che non riescono ad avere figli a 25 anni non parliamo nemmeno. La cartolina sul “poi ne fate uno solo”, chiedete ai vostri amici con un figlio e 35 anni, poi, fa infuriare: soldi, tempi di vita, case, asili…ma di che parliamo?

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Che sui manifesti e sulle cartoline si raffigurino solo donne è anche un po’ buffo. Dov’è la cartolina “Non aspettare che non ti tiri più, accoppiati selvaggiamente con la tua compagna e ingravidala”? (ce n’è una con la sigaretta e gli spermatozoi che rallentano, a dire il vero, ma è un’altra cosa). In tutto questo c’è un pensiero di fondo, lo hanno scritto in tante in queste ore, che è quello dei ruoli naturali, dei compiti da svolgere nella società e di un’idea strana e poco moderna sulle scelte delle persone di sesso femminile. Somiglia in forma uguale e contraria a quanto fatto e sostenuto in Francia sul burqini: lo sappiamo noi, politici maschi (o femmine che sia) quello che fa per voi: figli e costumini discinti. Se invece scegliete di non fare figli o scegliete di coprirvi di più e lo fate liberamente, fate male.

Ma torniamo ai numeri e ai figli. Sarebbe bello averne e farne di più. E il governo, lo Stato, potrebbe fare qualcosa per incentivare le coppie giovani a farne. Non spedendo cartoline ma con politiche attive. Non c’è bisogno di ripetere che i Paesi occidentali dove si fanno più figli hanno anche politiche di welfare (asili, sussidi, case, permessi) che aiutano le coppie dove entrambi i genitori lavorano a conciliare i loro tempi di vita con i nuovi arrivati vero? E nemmeno che con salari da fame e prezzi delle case alle stelle come nei centri urbani italiani è difficile pensare di fare un figlio. E sottolineare che il calo demografico comincia nel 2008, quando esplode la grande crisi, vi dice qualcosa? Negli Stati Uniti, dove pure il welfare pubblico non esiste quasi, i figli li fanno i molto poveri e religiosi e i giovani in carriera che guadagnano molti, ma molti soldi. E che poi cambiano casa o città proprio per “colpa” del fatto che hanno fatto figli e devono spostarsi per potersi permettere 10 metri quadri in più.

Proprio negli Stati Uniti, in queste settimane è uscita la nuova edizione rivista di Unfinished business, Women, men, work, family, l’ultimo libro di Anne-Marie Slaughter, che dirige la New America Foundation, che ha lavorato per l’amministrazione Clinton e insegnato a Princeton e il cui articolo su The Atlantic “Why women still can’t have it all” ebbe un successo enorme. In estrema sintesi e con un punto di vista personale, Slaughter sostiene che senza valorizzare il lavoro di cura, dargli lo stesso peso di quello salariato, professionale e senza cambiare il ruolo degli uomini nell’organizzazione della società, è difficile pensare di raggiungere la parità. Ovvero cambiando welfare, tempi di vita, idea della retribuzione e del successo personale. Un affare complicato, sul quale cominciare a ragionare. Proprio come il riscaldamento globale o l’avvento dei robot: sono le sfide del futuro di cui tutti dovremmo discutere. Sfide che, se affrontate, ci aiuterebbero superare i problemi che non ci fanno avere figli.

Ecco delle cose da fare, del welfare a cui pensare, delle idee semplici e complicate sulle quali lavorare, delle risorse da trovare. Certo, ne serviranno un po’ di più di quelle stanziate per una campagna sballata e per mettere su un sito che mentre scriviamo è inaccessibile. Forse perché a Palazzo Chigi qualcuno si è accorto dell’errore?