Tutto e il contrario di tutto in un solo giorno. Donald Trump si è incontrato a Città del Messico con il presidente Peña Nieto per discutere di immigrazione e rapporti con il Paese e poi è tornato oltre confine, a Phoenix, Arizona, per parlare ai suoi sostenitori dello stesso argomento. Due persone diverse, o quasi.
Nel suo incontro messicano non si è parlato di chi o cosa dovrebbe finanziare il muro lungo il confine che il miliardario newyorchese ha promesso. Un segnale, era sembrato, di un tentativo di moderare leggermente le posizioni in un terreno che è scivoloso per i repubblicani: Trump ha promesso di deportare gli illegali, costruire un muro e usare maniere forti con chi, immigrato, infrange la legge. In una conferenza stampa congiunta, il presidente messicano e il candidato repubblicano hanno evitato di mostrarsi i canini a vicenda, aggirando il tema. «Non abbiamo discusso di chi pagherà per il muro proposto da Trump» è la versione del presidente messicano, le distanze ci sono anche sugli scambi tra i due Paesi e sull’immigrazione in generale. La risposta della campagna Trump è: «Ci sono distanze, negozieremo con il Messico», come se Trump fosse presidente.
Ma non è questo il punto, la verità è che se il viaggio doveva servire a moderare l’immagine del miliardario, a renderlo presidenziale, il passaggio a Phoenix, poche ore dopo la conferenza stampa con Peña Nieto, è quello del Trump della prima ora, quello che (anche) grazie alle sue sparate sui messicani ha sbaragliato il nutrito campo di concorrenti alle primarie. E così, nel discorso che presenta il suo programma in materia, tenuto in uno Stato in cui gli ispanici sono una percentuale molto alta (17% dell’elettorato nel 2012) e l’immigrazione è un oggetto di scontro, Trump ribadisce i suoi punti, introducendone di nuovi:
- Creare una task force per l’espulsione degli immigrati arrestati (anche se non condannati);
- Eliminare qualsiasi percorso verso la cittadinanza e costringere coloro che vogliono regolare la propria posizione a tornare nel loro Paese;
- Introdurre test sui “valori americani” per gli immigrati in ingresso;
- Proteggere gli interessi dei lavoratori afroamericani e ispanici, limitando i numeri di immigrazione legale
- Ottenere duro sulle persone che rinnovano i visti, che li rende soggetti a espulsione
E infine costruire un muro lungo il confine che sia «impenetrabile, alto, potente, meraviglioso». Alla folla accorsa ad ascoltare il discorso di TheDonald il discorso è piaciuto, anche quando il candidato ha detto che «i messicani non lo sanno ma lo pagheranno loro» Il problema dei repubblicani è che al voto non vanno solo quelli che partecipano ai comizi e che il tentativo del partito di moderare la figura del candidato che si trova controvoglia a sostenere è saltato: se dopo la convention di Cleveland si era riuscita a imporre un direttore della campagna tradizionale – Paul Manafort – che rimettesse le cose in ordine, nel giro di poche settimane il tentativo è saltato. Trump ha licenziato Manafort, che tra l’altro aveva i suoi guai personali avendo lavorato ed essendo stato strapagato dai russi, e imbarcato due figure, Steve Bannon e Kellyanne Conway, in linea con il suo modo di essere.
“Let trump be Trump”, lasciate che Trump sia se stesso, è la nuova parola d’ordine. E il discorso di Phoenix è coerente con questo adagio, che serve a galvanizzare le folle già convinte di votare repubblicano, ma che probabilmente non funziona con quegli elettori moderati e quelli delle minoranze. Non basta dire che il presidente Nieto «ama il suo popolo ed è una brava persona» per corteggiare gli ispanici e non basta fare elenchi, Trump non dice come pagherà, come espellerà più di dieci milioni di persona. E non basta accusare Clinton di voler fare una sanatoria, la legge di riforma dell’immigrazione la vogliono anche molti repubblicani. A cominciare da John McCain, senatore dell’Arizona che cerca la rielezione e Marco Rubio, senatore della Florida, cubano, che ha bisogno del voto ispanico per riconquistare il suo scranno. I sondaggi continuano ad assegnare a Trump una distanza dalla candidata repubblicana che oscilla tra un punto e 10 punti percentuali. Non saranno le sparate sull’immigrazione a fargli risalire la china. Semmai, ad aiutarlo, c’è la pessima gestione della questione email di Clinton e la relativa incapacità di Hillary di dare un tono entusiasmante alla sua campagna.
Il discorso di Trump in due minuti