In queste ore, mentre leggete questo pezzo, in Italia da nord al sud la schiavitù si riversa nei campi sotto mentite spoglie: a vederla da lontano appena di qualche chilometro sembra verdura o frutta o vino ma lì dentro, nel piatto e nel bicchiere, ci sono migliaia di persone rinsecchite dal sole e arse dalla terra per qualche spicciolo di euro al chilo.
Il caporalato è un delitto odioso perché svilisce la dignità umana fingendosi un’occasione di lavoro e perché procura ingenti guadagni ricamando sulle fragilità di persone, infilandosi tra le fragilità di chi non ha i documenti in ordine e facendo leva sulla fame.
Il Governo italiano da mesi sta approntando una legge per contrastare il caporalato ma le dimensioni del fenomeno (per disattenzione o per non disturbare troppo il settore della grande distribuzione) disegnano zone del Paese in cui il rispetto delle regole è un obbiettivo lontano da raggiungere.
Oltre a questo continuano ad assistere ad un’escalation di violenza nei confronti di chi decide di alzare la voce. Le associazioni, i comitati e le istituzioni locali che decidono di denunciare e ribellarsi spesso sono vittime di isolamento e di attentati. Solo ieri Marco Omizzolo (sociologo e responsabile scientifico dell’associazione In Migrazione) ha dovuto subire un danneggiamento della propria auto.
«Siamo uomini o caporali?» diceva Totò in un celebre film di Camillo Mastrocinque: forse è il caso che lo Stato faccia la sua parte non solo dal punto di vista legislativo ma anche nella sua funzione di cura, vicinanza e osservazione.
Per questo sarebbe significativo che il Presidente Mattarella incontri con Omizzolo i tanti che da tempo si ritrovano al fronte di questa battaglia e si rechi in visita in questi campi che sono troppo spesso bolle di inciviltà.
Presidente, porti lo Stato nei raccolti dove continuano a seccarsi i diritti degli ultimi.