Intervista allo scrittore nordirlandese, campione di vendite in Germania, Francia e Stati Uniti che nel suo "On The Brink" racconta la sua vita più che rocambolesca

Sam Millar ha una gentilezza discreta e un’empatia sincera quando esprime le sue condoglianze per il sisma che ha colpito il centro Italia. «Noi tutti in Irlanda siamo rimasti scioccati nel sentire questa terribile notizia. Il nostro pensiero e le nostre preghiere sono per questi uomini e queste donne vittime del terremoto». Ci tiene a dirlo subito, lo scrittore irlandese. Subito prima di iniziare l’intervista questo scrittore dal passato rocambolesco la cui vita, come spesso si dice esagerando, sarebbe perfetta per la sceneggiatura di un film.

Attivista dell’Ira finito in carcere nel 1970, emigrato negli Stati Uniti una volta uscito e parte del sottobosco criminale locale, è anche la mente del colpo del secolo alla Brinks di Rochester, Stato di New York. Millar era in Italia ospite al Festival di letterature applicate Marina Café Noir di Cagliari per parlare del suo libro On the Brinks, “caso letterario” (i suoi libri sono bestseller in Irlanda, Francia, Germania e Stati Uniti) in cui racconta in prima persona le sue tante vite. Un’infanzia difficile nei quartieri cattolici di Belfast, le lotte nel carcere di Long Kesh al fianco di Bobby Sands al tempo della Blanket Protest irlandese, ladro astuto, tutto nella penna di uno scrittore che grazie al suo precorso esistenziale così tempestoso, racconta il mondo criminale e la strada, senza compromessi. Percorriamo con lui ragazzino le strade di una Belfast fumosa e lercia, gli otto anni di carcere, una situazione personale sempre sull’orlo del baratro con una madre con manie suicide e un padre assente. E la passione per i fumetti della DC Comics. “che mi hanno mostrato come fuggire, e i fumetti Marvel, per avermi mostrato come fuggire ancora meglio”.

Lei è nato e cresciuto a Belfast negli anni caldi, precisamente in Lancaster Street, una strada famosa per i suoi scontri settari. Gli orangisti scortati dalla polizia, la attaccavano frequentemente lasciando per terra morti e feriti. Che ricordi ha?

Tutti coloro che hanno vissuto a Lancaster Street hanno avuto un gran ben da fare per dimostrare di esserne all’altezza. Noi eravamo un obiettivo frequente dei fascisti orangisti lealisti protetti dalla loro forza di polizia paramilitare, la Royal Ulster Constabulary, trasformata oggi nel Police Service of Northem Ireland. La Ruc con la complicità dell’esercito inglese attaccò in modo settario e uccise, oltre a membri dell’ Ira, soprattutto semplici cittadini solo perché cattolici o repubblicani. La strada era un bersaglio perché era l’unica strada abitata daI cattolici nazionalisti, tutt’intorno lealisti. Le nostre giornate erano abbastanza movimentate.

Come aderì all’Ira?

Quando scoppiò la guerra coi britannici (The Troubles), mio padre e i miei fratelli andarono al fronte a combattere contro di loro. Io invece a quel tempo ero soltanto interessato alle ragazze, alla discoteca e naturalmente ai libri di fumetti americani. Non ero un pensatore politico a quel tempo e non avevo alcun interesse a unirmi all’Ira. Tutto cambiò con due terribili eventi nella mia vita: essere a Derry in quello che divento noto come il Bloody Sunday quando la British Army assassinò e freddò 14 civili disarmati mentre manifestavano e l’assassinio del mio migliore amico il 16enne Jim Kerr. Non potevo più aspettare, stare fermo e guardare la mia gente che veniva annientata, così decisi di combattere i britannici unendomi al movimento repubblicano.

Un’adolescenza difficile, come è nata la passione per la scrittura?

La mia passione per la scrittura nasce da due eventi. Il primo: mia madre ci lasciò quando ero molto giovane e non ritornò mai più. Lei aveva dei problemi di salute mentale e non poteva più badare alla famiglia. Fortunatamente per me, la libreria locale era in fondo alla strada così io potevo passare molte ore là, evadendo dal mio ambiente familiare, leggendo libri di avventure. Ho sempre avuto il desiderio di diventare uno scrittore, ma non ho mai creduto che potesse accadere davvero. Provenivo da una famiglia della working class. Mio padre era un socialista repubblicano e anche un marinaio. Nessun sogno di rivalsa. Dai suoi tanti viaggi a New York mi portava a casa una valigia di fumetti americani che tutt’ora colleziono. Da quelli ho imparato molto di più su ciò che riguarda il mondo attorno a me di quanto mi abbia insegnato la scuola.

La prima parte è veramente crudissima, il periodo della prigionia con tutto quello che ha subìto è agghiacciante. Nel libro l’ironia sembra una chiave di salvezza. Cosa invece, l’ha salvata durante la sua rocambolesca vita?

Ci sono state delle volte quando stavo nella prigione politica di Long Kesh, i famigerati H-Blocks in cui ho pensato che stavo per diventare pazzo. Essere nudi in una cella vuota, essere picchiati e abusati sessualmente ogni giorno dalle guardie può portare anche la mente più forte alla follia. Sono molti i miei compagni diventati pazzi o che si sono uccisi quando finalmente sono stati rilasciati. Misono chiesto spesso come ho fatto a sopravvivere, mentre altri non ce l’hanno fatta. Ecco penso di aver imparato a vivere giorno dopo giorno. Mi teneva in vita la voglia di rivedere la mia famiglia, non avevo intenzione di permettere agli inglesi di impedirmi di ritornare dalla mia famiglia un giorno. In più eravamo dalla parte giusta. e in me era sempre forte la motivazione che mi aveva fatto abbracciare la lotta: questo è il nostro Paese non è dei britannici. Noi siamo irlandesi non britannici e io ho sempre creduto che alla fine li avremmo sconfitti.

Militante dell’IRA e rapinatore. Dalla politica “combattente” alla criminalità. Diciamolo l’Ira, in fatto d’efferatezze, non era seconda a nessuno, poi il colpo del secolo. Cosa l’ha spinta a una vita violenta?

Che sia ben chiaro che combattere per il proprio Paese e per la libertà del proprio popolo non è un crimine. Il crimine è occupare un Paese con carri armati come hanno fatto gli inglesi col mio Paese per secoli. Io ho lottato per la mia gente, è stata una scelta naturale. C’era una guerra e io ne ho preso parte. Rapinare i Brinks è un crimine, un crimine fatto per soldi. E’ qualcosa che non avrei mai dovuto fare e chiedo scusa al popolo americano per averlo fatto. Ho sbagliato, ho pagato per questo errore. E’ semplice: tutti noi sbagliamo e io non faccio eccezione. E la rapina alla Brinks è stato il più grosso errore della mia vita. L’unica cosa buona che è venuta fuori da questa storia è che i soldi erano assicurati dai Lloyd’s di Londra. Ironicamente alla fine sono stati gli inglesi a pagare per il denaro rubato, cosa che mi ha fatto sentire fottutamente meglio.

Il terrore dell’Isis, il nomadismo contemporaneo, le sempre più forti le disuguaglianze sociali. Il mondo si trasforma. Le colpe?

L’ingiustizia sociale è un’effetto della violenza dei poteri economici. Sono i denari a determinare la politica estera, sempre più sanguinaria e tirannica. Finché ci sarà ingiustizia, ci sarà morte. Come può una persona che abbia un cuore non piangere per ciò che stanno vivendo i rifugiati che arrivano dal Medio Oriente? E come si può non avere disprezzo per l’Isis? Entrambe queste cose però sono state create dall’azione di due criminali di guerra: Tony Blair e George Bush. Entrambi hanno “violentato” un terzo del mondo per il petrolio e sono stati ricompensati finanziariamente diventando multimilionari. Al contrario questa settimana il processo al jihaidista Ahmad al-Faqi al-Mahdi, che si è dichiarato colpevole di aver distrutto i monumenti religiosi dell’antica città di Timbuktù in Mali. Sarà processato come un criminale di guerra.