Numeri contro luoghi comuni: due studi pubblicati di recente confermano e smontano percezioni diffuse riguardanti donne e lavoro: “le donne guadagnano meno perché non chiedono aumenti” (falso) e “nei Paesi del Nord la condivisione del lavoro domestico è più equa” (vero). Entrambi i lavori segnalano il permanere di alcuni freni, ostacoli, lacci&laccioli culturali e sociali che impediscono una parità sul terreno del lavoro. Per fortuna i dati raccolti segnalano che la direzione è quella del miglioramento.
Quanto lavorano in casa gli uomini in Occidente?
Partiamo dalla seconda che il dato è più immediato e semplice e i numeri riguardano anche l’Italia, confermando molti giudizi sulla relativa arretratezza della nostra società in materia di parità. Il lavoro pubblicato su Demographic research prende in considerazione 66 studi sull’impiego del tempo da parte di uomini e donne in 16 Paesi nell’arco di un cinquantennio (1961-2011). Se si parla di lavoro domestico, definito dagli autori, Evrim Altintas e Oriel Sullivan. ricercatori a Oxford, come tempo dedicato a “cucinare, pulire e occuparsi dei vestiti”, le donne italiane sono quelle che passano più tempo a farlo (220 minuti al giorno), mentre danesi, britanniche, statunitensi e finlandesi dedicano a queste attività tra i 120 e i 140 minuti.
Ora, potrebbero obbiettare i difensori della virtù italica, il problema è che le donne e gli uomini americani, britannici (e forse anche danesi), puliscono male e cucinano poco. Il tema, letto così, non sarebbe tanto la differenza di genere, ma il divario abissale tra le case e le cucine degli anglosassoni e nordici e quelle italiane (o spagnole). Moquette appiccicose contro cotto incerato, cene al microonde contro pasta fatta a mano. Sciocchezze: il numero importante è infatti quello che mette a confronto il tempo dedicato al lavoro domestico delle donne con quello dedicato dagli uomini. In Italia questa differenza si aggira intorno alle tre ore al giorno, seguono ex Yugoslavia, Spagna, Polonia e poi Germania. Il divario minore riguarda invece, nell’ordine, Danimarca, Canada, Stati Uniti, Finlandia. Il che, volendo essere un po’ maligni e pieni di pregiudizi, dimostra che le case britanniche sono più sporche e ci si mangia peggio: la somma del tempo dedicato alla cura di casa da maschi e femmine nel Paese del Brexit è infatti la più bassa di tutti.
Il dato positivo che riguarda anche l’Italia è che il divario si è andato riducendo ovunque negli anni. Certo, a guardare la figura il dato italiano fa un po’ vergognare – in questo caso possiamo vantarci di avere le case più linde, che la somma del tempo dedicato al lavoro di cura è la più alta.
Ma le donne chiedono aumenti? E li ottengono?
Il discorso relativo agli aumenti di salario è molto diverso. La ricerca dell’Università di Warwick ha usato i dati australiani, unico Paese al mondo dove la richiesta di aumento viene registrata dalla statistica. Il campione è dunque piuttosto grande (4600 persone) ed è diviso tra lavoratori a tempo pieno e part-time – che si dice siano meno inclini a chiedere un aumento della paga.
Comparando gruppi maschi e femmine di lavoratori simili, i ricercatori hanno verificato tra aspetti interessanti: le donne sono meno spesso impiegate in posti di lavoro dove è possibile chiedere un aumento salariale, negoziare la paga in qualche forma; quando gli uomini chiedono un aumento lo ottengono più spesso delle donne (il 25% dei casi in più); il mancato ottenimento dell’aumento è più diffuso tra le donne sopra i 40 anni, mentre le donne giovani giovani chiedono e ottengono aumenti con la stessa frequenza dei loro colleghi maschi.
Questo ultimo dato rende ancora più grave la discriminazione nei confronti delle over 40, che quindi sono discriminate in più del 25% dei casi. Sia il primo lavoro che il secondo ci indicano comunque che le cose, tutto sommato, migliorano in meglio. Con buona pace dei family e fertility day.