Immaginate Pj Harvey aggiungete qualche goccia di St. Vincent (soprattutto per la scelta di sfoggiare nei primi due video dei capelli bianco-argentato), un po' di folk, un pizzico di Lana Del Ray e di quell'indie che piace tanto ai millennials. Mescolate il tutto con sonorità nostalgiche rubate agli anni 80, ai giri di chitarra dei Nirvana, a qualche canzone anni 50 e 60 ed ecco, vedrete apparire all'orizzonte Angel Olsen, nuova promessa della musica statunitense, classe 1987, appena uscita con il suo nuovo lavoro My Woman (Jagjaguwar Records).
Piacevole e orecchiabile My Woman non sarà il disco dell'anno ma riesce proprio per il suo essere un metixage di identità presenti e passate a diventare un ritratto piuttosto fedele di una generazione, quella dei nati a metà degli anni 80 cresciuta in camerette ben arredate stracolme di poster, fatta di felicità tristi, finti disagi, grandi speranze e cinismo, noia e un occhio fisso sempre puntato indietro agli astri (ormai caduti) del passato. Risuona in Give It Up la generazione y cantata dalla Olsen, dove sembra che ad attaccare con il giro di chitarra siano i Nirvana e a cantare siano le Hole di “Malibu” guidate da Courtney Love, moglie di Kurt Cobain.
Certo, ridurre il lavoro di Angel Olsen a un mashup è riduttivo, ma è proprio l'effetto che esce da questo melting pot di armonie che rende My Woman un album estremamente orecchiabile, diverso ma allo stesso tempo caldo e familiare.
Una familiarità che potrebbe essere descritta come nostalgia per altre epoche, sentimento che per altro sembra aver stimolato fin dall'infanzia Angel Olsen proprio a partire dalla sua vita privata. Angel infatti è stata adottata dalla famiglia alla quale era stata data in affido fin da piccolissima, tra lei e i suoi genitori adottivi c'era un divario d'età consistente e proprio questo divario, sostiene la stessa Olsen, l'ha portata a immaginare come dove essere aver vissuto in altri momenti storici ed esplorare musiche e sonorità che avevano segnato la gioventù della madre o del padre. «Ci sono molti decenni di differenza fra noi, questo ha fatto sì che mi interessassi di più a come doveva essere stata la loro infanzia. Ho fantasticato molto – e molto di più dei miei coetanei - su come doveva essere essere giovani negli anni 30 e negli anni 50». A FaceCulture, una piattaforma musicale online piuttosto famosa che racconta il dietro le quinte della musica, Angel ha dichiarato: «Paradossalmente mi sono avvicinata prima a generi musicali e canzoni più vecchie e sono approdata solo in seguito a quelle più moderne». Questo ovviamente non ha impedito a Angel Olsen di inserire nei propri pezzi incursioni elettroniche e synth decisamente anni 80, come hanno fatto d'altronde anche molte band indie che sono emerse alla ribalta negli ultimi dieci anni (una fra tutte i Killers). L'intero album è stato scritto dalla Olsen al piano e declinato solo successivamente in studio per essere suonato su synth e Mellotron o con una rock band di stampo classico. Il risultato potete ascoltarlo su Spotify qui:

Immaginate Pj Harvey aggiungete qualche goccia di St. Vincent (soprattutto per la scelta di sfoggiare nei primi due video dei capelli bianco-argentato), un po’ di folk, un pizzico di Lana Del Ray e di quell’indie che piace tanto ai millennials. Mescolate il tutto con sonorità nostalgiche rubate agli anni 80, ai giri di chitarra dei Nirvana, a qualche canzone anni 50 e 60 ed ecco, vedrete apparire all’orizzonte Angel Olsen, nuova promessa della musica statunitense, classe 1987, appena uscita con il suo nuovo lavoro My Woman (Jagjaguwar Records).

Piacevole e orecchiabile My Woman non sarà il disco dell’anno ma riesce proprio per il suo essere un metixage di identità presenti e passate a diventare un ritratto piuttosto fedele di una generazione, quella dei nati a metà degli anni 80 cresciuta in camerette ben arredate stracolme di poster, fatta di felicità tristi, finti disagi, grandi speranze e cinismo, noia e un occhio fisso sempre puntato indietro agli astri (ormai caduti) del passato.
Risuona in Give It Up la generazione y cantata dalla Olsen, dove sembra che ad attaccare con il giro di chitarra siano i Nirvana e a cantare siano le Hole di “Malibu” guidate da Courtney Love, moglie di Kurt Cobain.

Certo, ridurre il lavoro di Angel Olsen a un mashup è riduttivo, ma è proprio l’effetto che esce da questo melting pot di armonie che rende My Woman un album estremamente orecchiabile, diverso ma allo stesso tempo caldo e familiare.

Una familiarità che potrebbe essere descritta come nostalgia per altre epoche, sentimento che per altro sembra aver stimolato fin dall’infanzia Angel Olsen proprio a partire dalla sua vita privata.
Angel infatti è stata adottata dalla famiglia alla quale era stata data in affido fin da piccolissima, tra lei e i suoi genitori adottivi c’era un divario d’età consistente e proprio questo divario, sostiene la stessa Olsen, l’ha portata a immaginare come dove essere aver vissuto in altri momenti storici ed esplorare musiche e sonorità che avevano segnato la gioventù della madre o del padre.
«Ci sono molti decenni di differenza fra noi, questo ha fatto sì che mi interessassi di più a come doveva essere stata la loro infanzia. Ho fantasticato molto – e molto di più dei miei coetanei – su come doveva essere essere giovani negli anni 30 e negli anni 50».
A FaceCulture, una piattaforma musicale online piuttosto famosa che racconta il dietro le quinte della musica, Angel ha dichiarato: «Paradossalmente mi sono avvicinata prima a generi musicali e canzoni più vecchie e sono approdata solo in seguito a quelle più moderne».
Questo ovviamente non ha impedito a Angel Olsen di inserire nei propri pezzi incursioni elettroniche e synth decisamente anni 80, come hanno fatto d’altronde anche molte band indie che sono emerse alla ribalta negli ultimi dieci anni (una fra tutte i Killers).
L’intero album è stato scritto dalla Olsen al piano e declinato solo successivamente in studio per essere suonato su synth e Mellotron o con una rock band di stampo classico.
Il risultato potete ascoltarlo su Spotify qui: