«Il punto è che se non si mette un’ancora, non si dà un timone, non si traccia una linea di navigazione, finisce che tutto è uguale a tutto. Che poi è la mia grande paura». Intervista a Enrico Mentana, dopo il boom del caso “webete”

Ci risponde subito. Niente fila e niente attesa per parlare con il direttore del Tg de La7. È diretto Enrico Mentana. Quasi ruvido, parla veloce ma è un fiume. Puntuale. Ci racconta che mai avrebbe immaginato una tale risonanza ad una semplice reazione. La sua, di fronte all’ennesimo “cretino” che blaterava sotto un suo post. Che non era sua intenzione coniare alcun neologismo ma che l’unica paura che ha è che «tutto diventi uguale a tutto».
Ci scusi direttore, chi è un webete? Ci traccia un suo profilo?
Webete è semplicemente una cosa che ho detto a una persona, nel mezzo di uno scambio. Aveva commentato un mio post mettendo in dubbio l’esistenza di questa signora che era scampata al terremoto di Amatrice, di cui io avevo ripreso una testimonianza. Poi tutto si è ingrossato, come accade in questo Paese. Ed invece è solo questo: rispondendo per le rime nel mezzo di una lite, certo con durezza, gli ho scritto “lei è un webete”. Da lì in poi, da due minuti dopo, per me la parola webete non esisteva più, io non faccio il trade marketer, volevo solo dire a quel signore quello che pensavo di quello che mi aveva scritto. Tra l’altro le ha cancellate subito. Poi le cose, come al solito, prendono le dimensioni che prendono…
Time ha fatto una copertina sui troll e sul linguaggio del web, spesso anche violento…
La violenza è una cosa, in questo caso il webete lo definirei piuttosto un analfabeta funzionale. È gente che, per spirito di contraddizione puro, senza documentarsi, prescindendo dai fatti, va ad ingaggiare duelli, confronti o conflitti di parole e di frasi sul web. Questa è la questione e il punto da affrontare. Se non si mette un’ancora, non si dà un timone, non si traccia una linea di navigazione, finisce che tutto è uguale a tutto. Che poi è la mia grande paura. In un mondo che non è più governato dalla memoria diretta, dalla lettura diretta o dalla conoscenza diretta, e dove tutto è affidato al libero confronto e ai motori di ricerca, la verità fattuale e quella controfattuale pesano uguale.
È il motivo per cui “impegna” parte del suo tempo a rispondere ai commenti che le vengono fatti sul web?
Non ne impiego molto, non sono un grande scrittore e non sto lì ad arrovellarmi sulla pagina. Scrivo di getto e molto velocemente anche perché ho un telegiornale da fare e, come è noto – fa dell’autoironia sulla sua prolungata presenza in video! – non sono un lavativo sul lavoro. Diciamo che nei ritagli di tempo che non dedico ai miei figli o ai fatti miei do un’occhiata e rispondo. Dico la mia, perché ritengo che chi ha un ruolo sociale nell’informazione, debba anche misurarsi direttamente con le persone, altrimenti si rimane sempre ex cathedra.
E anche perché spesso questi attacchi sono diretti proprio ai giornalisti…
Per forza, perché i giornalisti vengono considerati i portatori delle “verità ufficiali”, quelle che non sono vere. Diciamo che molti nostri colleghi ci mettono del loro per ingenerare questo increscioso equivoco.

Questo articolo continua su Left in edicola dal 10 settembre

 

SOMMARIO ACQUISTA