Una caposquadra di Massafra, Maria, non vuole che la bracciante rumena si unisca alle raccoglitrici italiane per lavorare sotto caporale. Sfruttati contro sfruttati in un’ordinaria storia di concorrenza al ribasso

A farci caso, nei campi le orme degli scarponi dei braccianti sono enormi, come fossero state lasciate soltanto da uomini. Il racconto del lavoro femminile sparisce con la levità del passo delle raccoglitrici. Eppure, in una provincia come quella di Taranto, il grosso della manodopera agricola è donna: donna italiana e donna straniera.
«Tu la devi finire di venire qua!», urla Maria alzando la voce affinché la senta anche il caporale. Maria è una cinquantenne italiana bassa e tarchiata di Massafra. Una caposquadra che ha imparato il mestiere abbandonando la scuola per portare a casa uno stipendiuccio in più. «Quando io già faticavo, tu manco eri nata!», urla Maria in faccia a Catrina, una bracciante rumena sulla trentina.
Le due donne si squadrano. Si fissano. A differenza degli uomini, non vanno direttamente alle vie di fatto. Aspettano, prima di toccarsi, di farsi davvero del male con le parole.
«Io non ti ho fatto niente. Se il capo mi ha detto di venire da te, che c’è di male?».
«E dalli co’ stu capu! Qua comando io, e tu non ci vieni con le mie commare».
Le commare sono le giovani raccoglitrici italiane della squadra di Maria, che non è un caporale ma è la più esperta. Una lavoratrice molto affidabile, che sa come scegliere altre lavoratrici e come coordinarle al servizio di un caporale. È questo il solo modo che ha Maria per conservare un posto altrimenti assegnato a un’altra.
«Il capo ha detto così, Maria».
Maria non ne vuol sapere. È risoluta a non far entrare la rumena nella sua squadra, perché teme che a furia di ingolfare con sangue straniero i campi, lei e le altre italiane saranno chiamate – e pagate – sempre meno.
«Non farmi questo», la implora Catrina.
Maria non si lascia impietosire.
«Tu mi abbassi la giornata».
La giornata è la paga quotidiana. Il pane che ciascuna porta a casa. Maria non può rinunciarci. Suo marito è stato licenziato da una fabbrichetta che lavorava nell’indotto dell’Ilva. Ha due figlie e non vuole che facciano le schiave come lei. Le sta facendo studiare. Catrina, invece, era insegnante in Romania. Viene dal distretto di Botosani, uno dei più poveri d’Europa… Un luogo dove se sei bella finisci nei night, se sei onesta nei campi pugliesi o negli alberghi di Rimini.
«Se mi cacci che faccio io?».
«Non me ne frega. Tornatene a casa tua».
Catrina stringe i pugni. Casa sua è ormai l’Italia. Palagiano, Taranto. A casa sua non ci vuol tornare, perché non ha più senso. La sua vita è appesa alla volontà di una sua collega più matura e più rozza. Si percepisce una distanza culturale, tra le due, che non dovrebbe esistere, perché sono schiave entrambe. Le colloca un caporale. Le conduce a raccogliere fragole nel metapontino, dieci ore di schiena curva per ventotto euro. Due euro e ottanta centesimi l’ora per arricchire i più grandi produttori di frutta del territorio e i più tenaci caporali pugliesi, quelli del tarantino appunto.

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