Mi ero riproposto di non parlarne più. Giuro. Dopo gli ultimi dieci anni sprecati a rispondere al voyeurismo della scorta avevo deciso di rimettere la questione di minacce, scorte, rischio e tutele nel cassetto degli argomenti che sono stufo di affrontare. Troppe volte mi è capitato di dovermi difendere più dai presunti onesti che dai mafiosi, troppe volte ho tentato di trasmettere cosa mi sono perso, io e la mia famiglia e i miei figli, per un dispositivo di sicurezza che appiattisce la quotidianità in uno schema di spostamenti programmati, conviventi forzati anche nei momenti più privati e onerosi strascichi da portarsi in giro. Poi, d'altra parte, ho perso ore a raccontare che sarebbe stato bello comunque smettere di pensare che la scorta sia direttamente proporzionale alla credibilità dello scortato. Noi, che siamo un Paese strano, scortiamo direttori sportivi, imprenditori à la page, vescovi, prefetti, ministri insulsi e personaggi patetici mentre consumiamo i testimoni di giustizia in un anafettivo labirinto di carte bollate oppure permettiamo a qualche dirigente opaco di spingere qualche pentito a pentirsi d'essersi pentito. Insistiamo nel credere di poter trovare una formula matematica per un mondo, quello di minacciati o delle persone a rischio, che contiene un universo di differenze. E così oggi tocca alla Raggi, sindaca di Roma, finire sotto i cannoni del qualunquismo: sarebbe colpevole, secondo i benpensanti, di essere stata fotografata di ritorno a casa con qualche sporta e con suo figlio. Orrore, dicono in molti: il privilegio di avere la scorta usato per scopi personali. Come se non fosse chiaro che una persona che va protetta (e va protetta la sindaca della capitale, ahivoi) debba essere preservata nei suoi momenti quotidiani, tutti. Come se non fosse chiaro che siamo in un Paese che uccide spesso con "sfortunate coincidenze" e "incidenti sincroni" e che proprio nei momenti più privati si tende ad abbassare la guardia e diventare degli obbiettivi. Dice un pentito che a me avrebbero voluto ammazzarmi con un investimento casuale (e causale) che simulasse una morte fortuita. Dice la storia che i morti ammazzati (molti) muoiono citofonando di domenica alla madre (Borsellino), in ritardo verso un concerto (Siani), di ritorno da un aeroporto (Falcone), sulla strada per casa (Impastato), passeggiando sui propri marciapiedi (Ambrosoli). Ma qui no. Adesso, no. Adesso essere protetti deve per forza essere sinonimo di un odioso privilegio che non meriterebbe nessuno e così qualcuno può pensare che una madre non veda l'ora di stare sola con il proprio figlio con estranei. Che sia bello, pensano loro. E anche la Raggi finisce nel tritacarne. L'umanità, al solito, costa troppa fatica. Avanti così. Buon lunedì. (p.s. Di Battista, almeno, si renderà conto di quanto è stato superficiale in passato su questo argomento. Almeno)

Mi ero riproposto di non parlarne più. Giuro. Dopo gli ultimi dieci anni sprecati a rispondere al voyeurismo della scorta avevo deciso di rimettere la questione di minacce, scorte, rischio e tutele nel cassetto degli argomenti che sono stufo di affrontare. Troppe volte mi è capitato di dovermi difendere più dai presunti onesti che dai mafiosi, troppe volte ho tentato di trasmettere cosa mi sono perso, io e la mia famiglia e i miei figli, per un dispositivo di sicurezza che appiattisce la quotidianità in uno schema di spostamenti programmati, conviventi forzati anche nei momenti più privati e onerosi strascichi da portarsi in giro.

Poi, d’altra parte, ho perso ore a raccontare che sarebbe stato bello comunque smettere di pensare che la scorta sia direttamente proporzionale alla credibilità dello scortato. Noi, che siamo un Paese strano, scortiamo direttori sportivi, imprenditori à la page, vescovi, prefetti, ministri insulsi e personaggi patetici mentre consumiamo i testimoni di giustizia in un anafettivo labirinto di carte bollate oppure permettiamo a qualche dirigente opaco di spingere qualche pentito a pentirsi d’essersi pentito.

Insistiamo nel credere di poter trovare una formula matematica per un mondo, quello di minacciati o delle persone a rischio, che contiene un universo di differenze. E così oggi tocca alla Raggi, sindaca di Roma, finire sotto i cannoni del qualunquismo: sarebbe colpevole, secondo i benpensanti, di essere stata fotografata di ritorno a casa con qualche sporta e con suo figlio. Orrore, dicono in molti: il privilegio di avere la scorta usato per scopi personali. Come se non fosse chiaro che una persona che va protetta (e va protetta la sindaca della capitale, ahivoi) debba essere preservata nei suoi momenti quotidiani, tutti. Come se non fosse chiaro che siamo in un Paese che uccide spesso con “sfortunate coincidenze” e “incidenti sincroni” e che proprio nei momenti più privati si tende ad abbassare la guardia e diventare degli obbiettivi.

Dice un pentito che a me avrebbero voluto ammazzarmi con un investimento casuale (e causale) che simulasse una morte fortuita. Dice la storia che i morti ammazzati (molti) muoiono citofonando di domenica alla madre (Borsellino), in ritardo verso un concerto (Siani), di ritorno da un aeroporto (Falcone), sulla strada per casa (Impastato), passeggiando sui propri marciapiedi (Ambrosoli). Ma qui no. Adesso, no. Adesso essere protetti deve per forza essere sinonimo di un odioso privilegio che non meriterebbe nessuno e così qualcuno può pensare che una madre non veda l’ora di stare sola con il proprio figlio con estranei. Che sia bello, pensano loro. E anche la Raggi finisce nel tritacarne. L’umanità, al solito, costa troppa fatica. Avanti così.

Buon lunedì.

(p.s. Di Battista, almeno, si renderà conto di quanto è stato superficiale in passato su questo argomento. Almeno)

Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.