Profonda conoscitrice del mondo greco antico e della romanità, Eva Cantarella nel suo nuovo libro racconta lo spirito ferocemente agonistico che caratterizzava la vita dei cittadini della polis, non solo nello sport. Che per gli uomini era un mezzo per imporsi con forza, per battere e sbaragliare l’avversario. Mentre per le donne, soprattutto a Sparta, era un’attività «eugenetica, per la sana procreazione». Mentre leggiamo questi passaggi del saggio di Cantarella L’importante è vincere (Feltrinelli) difficile non pensare al Fertility day che si “correrà” il 22 settembre a Roma, indetto dal ministero della Salute, con tanto di manifesti che inneggiano alla fertilità «come bisogno essenziale» delle donne e bene comune. «Non mi faccia parlare del Fertility day, ci ha riportato indietro di un millennio», esclama di primo acchito la studiosa. «Ma forse una cosa la devo dire sono rimasta colpita dalla tiepidissima reazione delle donne italiane. “Date figli alla patria” ce lo hanno sempre detto gli uomini, ma adesso è addirittura una donna» dice Cantarella parlando del ministro Beatrice Lorenzin e della sua inaccettabile campagna. «Mi permette un inciso? Seppero reagire meglio le donne romane quando il “buon” Augusto, per incoraggiare la fertilità, impose a tutte, salvo le prostitute, di sposarsi, punendo chi non poteva avere figli, con sanzioni patrimoniali».
Come si ribellarono le romane?
Andando a iscriversi nelle liste delle prostitute per sbeffeggiare l’imperatore…una storia bellissima. Beatrice Lorenzin invece ha potuto dire queste cose altamente offensive, considerando le donne come fattrici, per altro senza neanche considerare che ci possono essere impedimenti concreti, come è stato notato. Ma ciò che mi sembra davvero grave è che nella sua concezione la donna che non ha figli, non esiste, non conta. Come donna sei lì solo per procreare. In un Paese civile si sarebbe dovuta dimettere.
Il pensiero greco e il cristianesimo, a cui il ministro Lorenzin fa riferimento, vanno a braccetto nel considerare la donna solo come madre?
Mi pare evidente. Ha visto che si è anche sposata per essere perfetta, un modello? Con le foto su tutti i giornali.
Una battaglia culturale ancora da fare riguarda la libertà di poter scegliere di non fare figli e realizzarsi in altro modo?
In giro vedo solo risposte timide anche a questo riguardo. Io non ho avuto figli perché non li ho voluti. Ma ci sono anche donne che non possono averne, per tanti motivi. Un tempo una donna senza figli, era discriminata, oggi no, ma c’è sempre questo fondo che di tanto in tanto salta fuori, perfino dalle donne: non li hai avuti perché sei una poveretta o non ce li hai perché sei un mostro, una figura degenere. Non capiscono.
Egoista, individualista, pensa solo alla carriera, sono le accuse più ricorrenti.
Già. Quando poi nella realtà la gente fa i figli – diciamolo in senso buono – per egoismo, per avere compagnia in vecchiaia, per un matrimonio più completo e più bello. È impressionante che la battaglia culturale non ci sia. Beatrice Lorenzin ritira due vignette ed è tutto a posto.
Provando ad indagare le radici storiche di tutto questo, ho letto che il ginnasio greco è il tema della sua lectio magistralis al Festivalfilosofia di Modena. Nella Grecia antica le donne non studiavano, dovevano solo tenersi illibate per il matrimonio. Non c’era modo di sottrarsi?
Cosa facevano se non si sposavano? Non esistevano. Il padre le fidanzava con chi voleva lui, quando avevano cinque o sei anni. Euripide diceva che niente è peggio per un padre che avere in casa una figlia canuta. Ma lo evitavano. Con l’esposizione dei neonati. Che riguardava più le femmine che i maschi. In questo modo avevano il numero di figlie che potevano collocare e se ne liberavano.
Fin da Omero invece i ragazzi sono spronati a primeggiare in ogni campo, a vincere sull’altro, ma anche a sottomettere?
Era una civiltà di guerrieri, di nobili. Nel mito, Achille viene educato a vincere e conquistare. I romani non erano differenti: Parcere subiectis et debellare superbos era il loro motto.
Il cittadino greco usava anche il sesso per sottomettere la donna e il pais, il giovane amante?
Se pensiamo all’attività sessuale, al fatto di essere attivo o passivo, sì, possiamo dire che anche il pais viene sottomesso. Ma il termine sottomissione è più ampio. Significa anche sottomettere psicologicamente. Che nel caso dei ragazzi fra i 13 e i 17 anni significava educarlo. Vi era una profonda differenza nel mondo greco riguardo all’atteggiamento che l’uomo adulto doveva tenere nei confronti della donna o del ragazzo. Il vero rapporto intellettuale era con il giovane amante, comprendeva anche l’eros. Che con la moglie non c’era, con lei c’era semmai la philia, affetto, amicizia.
Compito della moglie, si torna a dire, era essere perfetta, fedele, mettere al mondo dei figli. E le etère?
I greci amavano la vita comoda, furono i primi a dividere le donne in due categorie, quelle perbene e quelle che non erano considerate tali. Le prime dovevano diventare le riproduttrici del corpo cittadino. Le seconde erano prostitute oppure etère che avevano un minimo di educazione, giusto per accompagnarli nei famosi banchetti, i simposi da cui le mogli erano escluse.
Le splendide rappresentazioni di donne dell’epoca minoica lascerebbero pensare che non sia sempre stato così?
Purtroppo della società minoica non sappiamo quasi niente, non è stata decifrata la scrittura che nascondeva la loro lingua, conosciamo solo la lineare B. Sappiamo qualcosa di più delle donne in età micenea, anche se quasi nulla della vita familiare, perché le famose tavolette che sono state decifrate nel secolo scorso contengono informazioni quasi solo economiche. Sappiamo che in quei grandi regni il sovrano aveva al suo fianco una moglie, ma una regina fa poco testo. E poi c’erano le sacerdotesse, che avevano una buona posizione sociale.
In Grecia, anche lo sport era legato a riti di iniziazione e religiosi. Dal suo libro emerge l’immagine di una società molto credente anche se politeista.
Sì la religione permeava la vita civile e le regole giuridiche. E questo non è che migliorasse molto la condizione femminile. Certo ognuno poteva scegliere i propri dei. Era rappresentava la moglie perfetta, Artemide, la dea vergine, Atena era la dea che esce dalla testa, anche se poi sembrava una specie di uomo. Afrodite era la dea dell’amore, ma le sue vittime, come Fedra, finiscono tutte male. Detto questo penso che il politeismo desse più libertà alle persone rispetto al monoteismo, ma questa è una mia idea personale.
L’intervista continua su Left in edicola. Dopo il Taobuk festival, Eva Cantarella parla domenica 18 a Modena in piazza Grande per il Festiivalfilosofia e il 24 e 25 settembre ai Dialoghi di Trani
Ne parliamo su Left in edicola dal 17 settembre