Meglio preparata e meno tesa di lui, Hillary incalza il miliardario newyorchese su ciascuna delle sue debolezze, politiche e caratteriali

«Se andiamo avanti un altro po’ scopriremo che tutto quel che di male c’è in questo Paese è colpa mia». Non è stato un dibattito memorabile da punto di vista delle battute quello che Hillary Clinton ha vinto contro Donald Trump. Questa, detta con un sorriso sarcastico da parte della candidata democratica non è male: alle accuse di aver creato una situazione per l’economia disastrosa, l’ex first lady ha risposto così.
Il primo duello tra i due concorrenti alla presidenza degli Stati Uniti è stato interessante e ha detto alcune cose sulla capacità di Donald Trump di giocare a un gioco difficile. E mostrato che Hillary è più brava e preparata. E capace di mordere senza alzare troppo i toni.

Trump, che non ama prepararsi, aveva una strategia di corto respiro: accusarla delle disgrazie economiche che gli elettori della classe lavoratrice vivono. E nulla più: i trattati di commercio, il Nafta, l’economia che non va contrapposti alla capacità ed esperienza nel mondo degli affari. Ma finiti quegli argomenti di attacco e incalzato sulle politiche, Trump ha spesso finito con il bofonchiare cose. Come sulla guerra cibernetica: «Non stiamo facendo le cose come dobbiamo. Ho un figlio di 10 anni, molto bravo con i computer…fanno cose incredibili e l’aspetto della sicurezza è cruciale. E non stiamo facendo bene, come per il resto dlele politiche pubbliche. Ci sono molte cose che dobbiamo fare meglio e la cyber sicurezza è uno tra questi». Ovvero: non ho nulla da dire in materia, ma so che le cose vanno male.
Hillary, dal canto suo, è andata all’attacco del curriculum di Trump: gli affari fatti sulla pelle dei piccoli imprenditori e dei lavoratori (quelli che dice di voler proteggere), le tasse che probabilmente non paga, motivo per il quale non rende pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi.

Non ha dato risposte mirabolanti, non è stata capace di parlare al cuore degli americani oltre una certe misura, che non è il suo forte, ma non è stata prolissa. E, infine, quando incalzata sul tema dell’utilizzo di un server di mail privato, al tempo del Dipartimento di Stato, ha dato la risposta che avrebbe sempre dovuto dare: «Ho sbagliato, è stato un errore di cui mi prendo la responsabilità». Niente giustificazioni o giri di parole, il modo migliore per non dare al moderatore o all’avversario modo di tornare sul tema che la perseguita dall’inizio della campagna elettorale.
Risultato? Qui sotto leggiamo il labiale di theDonald: «Yes, she did a good job», dice, Si, è stata brava.

Ad alcuni attacchi di Hillary, come quello sulle tasse che non paga, la risposta è stata trumpiana: «Vuol dire che sono sveglio». Quando l’accusa era relativa all’aver approfittato, speculando, sulla crisi immobiliare la risposta è stata «Si chiama business». In più di un’occasione Trump ha detto quel che pensava e probabilmente non è quel che la maggioranza degli americani si vuole sentir dire. Tranne quelli già innamorati di lui. Se un dibattito serve a qualcosa è a parlare agli indecisi. E forse Trump non è stato affatto convincente, solido. Tanto più che ha dato segni di nervosismo ogni volta che si è trovato in difficoltà. Una dinamica che si è ripetuta in maniera crescente: più il tempo passava e più il non essersi preparato per il dibattito, non avere risposte adeguate, non aver pensato prima che quello avrebbe potuto essere un punto di attacco o di difesa, ha reso il candidato repubblicano che usa l’arma del populismo indifeso e nervoso.

Politiche? Su tasse e polizia, la contrapposizione è chiara e netta: Legge e ordine e meno tasse, da un lato, la necessità di ristabilire un rapporto decente tra comunità nera e polizia e far pagare di più ai ricchi dall’altro. Clinton ha collegato le proposte di Trump alle politiche repubblicane che hanno prodotto la grande crisi «non credo che dovremmo tornare a quell’epoca», lo ha attaccato per il suo record durante quella crisi (qui c’è la risposta, si chiama business) e spiegato che trasformando l’economia in direzione delle energie rinnovabili si crea lavoro. «Trump non crede al cambiamento climatico, io credo alle prove fornite dalla scienza, invece». La risposta del miliardario newyorchese è «Non ho detto questo». I fact checkers verificheranno su questo come su molta altra affermazioni sulle quali Trump è finito sulla difensiva sul tema del certificato di nascita di Obama o sui suoi privilegi – «Mio padre mi ha dato un piccolo prestito per cominciare» (14 milioni di dollari).
Trump ha spesso interrotto, si è lasciato andare a lunghe spiegazioni riguardanti vecchie polemiche furiose in cui è stato coinvolto (il massacro mediatico della conduttrice omosessuale Tv Rosie O’Donnell nel 2007), ha alzato le spalle, fatto smorfie, è apparso non a suo agio. E siccome lo schermo Tv era spesso diviso in due, in maniera da cogliere le espressioni di entrambi i candidati, uno che parlava, l’altro che ascoltava, il disagio di Trump si è notato.

C’è poi un aspetto che riguarda Hillary: non è apparsa come la più empatica delle candidate, ma la sua performance ha avuto un tratto femminile nel senso di una relativa leggerezza, sicurezza calma, anche quando era all’attacco. Il contrario del testosterone esibito di Trump. Molti sorrisi, non tirati come spesso le accade. E diverse buone frasi: «Donald mi sta forse criticando perché mi sono prepararata per questo dibattito. In effetti è così. Per cosa altro mi sono preparata? Per essere presidente. E credo che sia una buona cosa». Un atteggiamento che si vede bene nel breve video qui sotto: dopo una serie di attacchi, la risposta è un sospiro e un sorriso. Non male. Clinton ha vinto il primo dibattito in un momento difficile, con i sondaggi che la danno di nuovo quais alla pari. Da domani cominceranno a piovere nuovi numeri. Vedremo. Intanto Donald Trump, nella notte americana, twitta dei sondaggi TV che lo danno vincitore dle dibattito con l’80% dei consensi. Un modo un po’ puerile di fare spin, ma con il suo pubblico potrebbe funzionare.