In guerra e in zone di conflitto il patrimonio d'arte viene attaccato per distruggere l'identità del nemico. Accadde nella ex Jugoslavia e oggi in Siria, in Iraq in Mali Per la prima volta la Corte internazionale dell'Aia condanna come criminale di guerra chi tentò di distruggere i monumenti e i manoscritti di Timbuctù

Per la prima volta chi ha distrutto il patrimonio culturale  viene condannato dalla Corte Internazionale dell’Aia. La condanna a 9 anni di carcere riguarda il jihadista Ahmad Al Faqi Al Mahdi, reo confesso di aver attaccato nove mausolei di Timbuctu. E segna un punto importante nella giurisprudenza internazionale. Il processo è stato rapidissimo anche perché l’imputato si è dichiarato colpevole. E ora è scritto nero su bianco che la distruzione del patrimonio d’arte è «un crimine di guerra». Per la prima volta è nel testo di una sentenza non solo nelle dichiarazioni, pur significative, dell’Unesco e delle Nazioni Unite.

Una storia di “guerra” al patrimonio
Un fatto importantissimo perché l’attacco al patrimonio culturale è spesso usato come strumento di guerra, compiuto scientemente per destabilizzare e distruggere l’identità dell’altro. Come si è visto, purtroppo, durante la guerra nella ex Jugoslavia, con il rogo della biblioteca di Sarajevo nel 1992 e quando i croati fecero saltare, senza alcuna ragione militare e strategica, il ponte di Mostar. Ma anche quando i serbi distrussero le moschee e alcuni sindaci dissero poi che non erano mai esistite. Basta guardare a quel che sta accadendo in Medio Oriente dove imperversano i miliziani dell’Isis. Cancellare perfino la memoria del passato preislamico della Siria è l’obiettivo dei fondamentalisti. Per questo hanno fatto saltare alcuni dei monumenti simbolo dell’antica Palmira. Lo stesso è accaduto a Musul, a Ninive e in altri siti dell’antica Mesopotamia.
Anche i nazisti lucidamente attaccarono l’arte d’avanguardia, bollata come “degenerata”, ma soprattutto la nascosero, la tesaurizzarono in collezioni private e la vendettero in segreto. Gravissima fu  la loro azione di saccheggio e di razzia dell’arte antica. Al processo di Normberga Goering e altri nazisti furono accusati di aver razziato e saccheggiato il patrimonio d’arte italiano, francese e di altri Paesi. Ma quello era un capo di accusa “secondario”, rispetto agli altri agghiaccianti crimini che i nazisti avevano commesso. In questo caso, invece, l’attacco al patrimonio culturale è l’unico capo di accusa per  Ahmad Al Faqi Al Mahdi. E non era mai accaduto prima. Questo significa che presto anche i talebani, i miliziani dell’Isis e altri integralisti che  hanno compiuto devastazioni di siti archeologi e monumenti saranno presto processati per crimini di guerra? La condanna di Mahdi è stata un modo per la Corte anche per lanciare un segnale, ha detto Alex Whiting, professore della Harvard Law School ed ex alto funzionario presso la Corte internazionale. Ma le risorse e le forze per raccogliere delle prove  che la Corte ha disposizione da dedicare a questi tipi di processi sono scarse. Inoltre il suo operato  è limitato da alcuni vincoli,  a cominciare dal fatto che la Corte può perseguire solo casi in Paesi che rientrano nel trattato che sovrintende, o casi che sono stati sollevati dal  Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Nel caso della  distruzione dei monumentali Buddha del Bamyan, fatti saltare dai talebani nel 2001, la Corte non può intervenire. Nonostante l‘Afghanistan sia un Paese che riconosce la Corte internazionale dell’Aia la distruzione di quelle monumentali statue avvenne prima dell’avvio dei lavori da parte della Corte che, per statuto, non può intervenire su eventi che precedono la firma del trattato nel 2002.  Quanto gli attacchi dell’Isis al patrimonio dell’antica Palmira e alle distruzioni avvenute nell’attuale Iraq la Corte non può intervenire perché  la Siria e l’Iraq non sono fra i Paesi membri della Corte internazionale e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non ha chiesto al tribunale dell’Aia di intervenire.

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Un attacco emulato da altri fondamentalisti

Ahmad Al Faqi Al Mahdi è un tuareg e leader di Ansar Dine,  il movimento fondamentalista maliano legato ad Al-Quaeda. Il 22 agosto 2012 è stato accusato di crimini di guerra per aver “intenzionalmente diretto degli attacchi” contro nove mausolei di Timbuctu e contro la porta della moschea Sidi Yahia tra il 30 giugno e l’11 luglio 2012. Si è detto pentito e pieno di rimorsi,  anche perché quell’attacco è stato emulato poi da altri gruppi fondamentalisti. Nel 2012 gruppi ispirati da Al-Quaeda hanno attaccato con scalpelli e zappe il cimitero di Djingareyber, nel sud di Timbuctù, e poi la moschea Sidi Yahia. Si è temuto il peggio quando hanno assaltato e incendiato l’antica biblioteca. Per fortuna  gran parte della collezione di rari manoscritti era stata messa in salvo per tempo, quando la crisi in Mali si stava acuendo. Nel 2015, grazie all’aiuto dell’Unesco, sono cominciati i lavori di restauro e di recupero dei monumenti. Il 19 settembre 2016 è stata inaugurata della porta restaurata della moschea di Sidi Yah.

 

La storia dei manoscritti di Timbuctu

Quasta suggestiva città del Mali, con le sue originali costruzioni che sembrano dei castelli  di sabbia, è stata tra il XIII e il XVII secolo un importante centro di produzione e di commercio manoscritto, con i commercianti che portavano testi islamici provenienti da tutto il mondo musulmano. Nonostante numerose  occupazioni e invasioni studiosi  e bibliotecari locali sono riusciti a preservare e persino restaurare centinaia di migliaia di manoscritti risalenti al XIII secolo. Ma con il farsi avanti di islamisti militanti sostenuti da al-Qaida a partire dal 2012, quel patrimonio è stato preso di mira. La scusa, il cavillo usato dai fondamentalisti come giustificazione è che non sarebbe lecito costruire monumenti sopra delle tombe. La linea dura dei jihaidisti, come è noto, non è basata sul corano dove non c’è nessuna esplicita condanna delle espressioni artistiche e nemmeno delle immagini, ma sugli “hadith”, i detti di Maometto raccolti due secoli dopo la sua morte. Fu così – come scrive Tahar Lamri in un limpido intervento sul suo blog,   che i fondamentalisti cominciarono ad uccidere per un disegno.  In Mali  anche attaccando importanti icone culturali come i  mausolei di sufi musulmani del XV secolo. E poi dando assalto alla storica biblioteca e i tesori che custodiva.

Marrocan style biography manuscript of the profet Mahoma at the CEDRAB ( Centre de Documentation et Recherches Historiques Ahmed Baba ), Timbuktu, Mali. (Photo by Jordi Cami/Cover/Getty Images)
Manoscritto in stile marocchino Timbuktu, Mali.

Il bibliotecario Abdel Kader Haidara

Il bibliotecario Abdel Kader Haidara è uno degli “eroi civili” di questa storia.  Nel 2012  fu lui a scoprire un complotto segreto per il contrabbando di 350mila manoscritti medievali di Timbuctù. La storia è stata raccontata da Joshua Hammer sul Wall Street Journal  e in un libro uscito negli Stati Uniti in cui ripercorre l’avventurosa biografia di Abdel Kader, bibliotecario e restauratore di libri antichi che ha salvato migliaia di manoscritti dalla distruzione. Tornato da un viaggio all’estero, trovò una brutta sorpresa: l’esercito del Mali era stato battuto e Timbuctù era occupata da un migliaio di miliziani affiliati ad Al-Queda.  Si rese immediatamente conto del rischio che correvano le migliaia di libri e manoscritti antichi che si trovavano in città e che potevano scatenare la furia dei fondamentalisti, anche perché alcune opere esprimono una visione dell’islam moderata, oppure si occupano di temi ritenuti inappropriati dai fondamentalisti, come la filosofia o la scienza. Fu così che insieme ad altri bibliotecari cominciò a nascondere quei preziosi libri in case private e in luoghi il più possibile sicuri. Fu un’impresa che coinvolse centinaia di persone per otto mesi. Nel 2013, quando Timbuctù fu liberata, quattromila testi erano stati distrutti, ma ben 400mila erano stati preservati grazie all’operazione salvataggio messa in campo proprio da Abdel Kader e dai suoi colleghi.