I cinque operai di Pomigliano ce l’hanno fatta. Hanno vinto contro Fca. Il loro licenziamento è illegittimo e dovranno tornare in fabbrica. La clamorosa sentenza della Corte di Appello di Napoli ha ribaltato la decisione in primo grado del tribunale di Nola. Mimmo Mignano, Marco Cusano, Roberto Fabbricatore, Massimo Napolitano e Antonio Montella, il 5 giugno del 2014 esposero un “Marchionne pentito”, un fantoccio impiccato a un patibolo, davanti al cancello del Wcl, il polo logistico di Nola. Era una manifestazione satirica per denunciare l’ondata di suicidi tra gli operai mobbizzati da Fiat, sostengono gli operai. In particolare contro i suicidi di due operai cassintregrati del reparto, Pino De Crescenzo e Maria Baratto.
«Una bella notizia, un pò di ossigeno costituzionale», ha commentato il sindaco di Napoli Luigi de Magistris. «Questa decisione sancisce il prevalere dei diritti di un lavoratore a esprimere liberamente, seppur con durezza, la propria opinione rispetto a un abuso perpetrato attraverso il licenziamento che evidentemente è stato giudicato illegittimo».
Al presidio permanente in piazza Municipio, all’arrivo della notizia è scoppiata la festa. I cinque “ex licenziati” sono tutti aderenti al SiCobas e, in quanto tali, deportati da Pomigliano e mobbizzati nel polo logistico di Nola assieme a parecchi iscritti Fiom, tutti i lavoratori con ridotte capacità lavorative e quelli con un contenzioso aperto con l’azienda. Con il groppo in gola, Antonio Montella, 55 anni metà passati in Fiat, dedica la vittoria a chi non c’è più, ai colleghi che si sono tolti la vita. Dice di sentirsi, assieme ai suoi compagni, come Davide quando ha battuto Golia. E, infine, spiega che questa è una vittoria a disposizione della libertà di opinione di tutti i lavoratori, dentro e fuori il gruppo guidato da Marchionne.
Il 20 settembre scorso, i cinque di Pomigliano in corteo insieme a centinaia di persone venute da Melfi, Taranto, dalla Val Susa, Roma, Torino, avevano raggiunto il tribunale di Napoli. Un appello in loro solidarietà è stato firmato da migliaia di persone, ma stupisce l’assenza della firma di Maurizio Landini che pure su Pomigliano ha costruito gran parte della sua immagine di lottatore. «La sentenza di Nola nega che si sia trattato di una manifestazione sindacale e che ci sia un nesso di causalità con l’ondata di suicidi – spiega a Left, nel numero in edicola questa settimana, Pino Marziale, legale dei cinque operai – e, soprattutto, estende gli obblighi di fedeltà all’azienda anche fuori dall’attività lavorativa, sebbene i cinque non mettessero piede in fabbrica da quasi sei anni. C’è un clima repressivo che si respira anche nelle aule dei tribunali. La parola magica sembra essere “vincolo fiduciario”, come se il lavoratore appartenesse al datore di lavoro».
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