Alta tensione nella città petrolifera, pericolo infiltrati e nuovi arrivi quotidiani di rifugiati in fuga dalla battaglia

Quando arrivi a Kirkuk, ti rendi subito conto che il fronte è vicino. Come in quasi tutti i teatri di guerra le pompe di benzina sono attaccate a dei container, al cui interno c’è il serbatoio. O addirittura direttamente barili al cui interno viene messo l’aspiratore. Motivo per cui la gente le usa solo in caso di estrema necessità, poiché il carburante potrebbe essere sporco, pieno di impurità. Ma nonostante questo sono molto utili: se il fronte viene sfondato e inizia ad arretrare, in meno di un’ora può essere spostata. Giusto il tempo che un camion arrivi a caricarla. Lo stesso vale per i checkpoint, improvvisati al posto di quelle che una volta erano le normali stazioni di servizio.

Kirkuk, peshmerga curdi
Kirkuk, peshmerga curdi (A. De Pascale)

Kirkuk è una città a maggioranza turcomanna, araba dell’Iraq centrale, nella quale prima della guerra vivevano anche migliaia di cristiani. Essendo il maggiore centro petrolifero del Paese, dal quale poi il greggio arriva in Turchia tramite un oleodotto (si parla di un export di 300.000 barili al giorno), il Daesh cerca in ogni modo di conquistarla. Se non ci è ancora riuscito è soltanto perché quando l’esercito regolare iracheno si è dileguato, qui come altrove, a difenderla sono scesi i peshmerga curdi. Dall’agosto del 2014 la città è di conseguenza nelle loro mani e annessa di fatto alla Regione autonoma del Kurdistan iracheno. Anche se un accordo sul suo futuro tra governo curdo ed esecutivo iracheno, sarebbe stato sciolto proprio in questi giorni.

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La mappa del fronte attorno a Kirkuk (A. De Pascale)

In città l’aria è molto tesa. Il fronte è del resto a meno di mezz’ora di auto dal centro cittadino. Gli infiltrati potrebbero quindi essere tanti. Motivo per cui c’è un militare armato fino ai denti, praticamente ogni 200 metri. Mentre i controlli ai vari checkpoint sono molto più serrati, rispetto a quelli delle altre o città o villaggi che abbiamo visitato. Nemmeno a mezz’ora di auto dal centro di Mosul, la “capitale” irachena del Daesh c’era una situazione similare. La sera del 21 agosto qui a Kirkuk la polizia locale ha fermato un ragazzino di circa 12 anni: sotto la maglia del calciatore Messi aveva una cintura esplosiva. Per il colonnello Arkan Hamad Latif sarebbe proprio di Mosul. Pochi giorni prima del nostro arrivo, nel campo profughi cittadino di Lailan le forze di sicurezza avevano invece arrestato un imam arrivato da Hawija, con l’accusa di essere un reclutatore del Daesh. L’uomo avrebbe poi ammesso sia i suoi rapporti col Daesh che l’obiettivo del suo viaggio.

l'arresto di un baby kamikaze a kirkuk
L’arresto di un 12enne con una cintura di esplosivo addosso nascosta da una maglietta di Messi a Kirkuk

Da quando la linea del fronte si è assestata nei pressi di questo distretto, che conta poco meno di mezzo milioni di abitanti, da quella zona sono arrivati a Kirkuk oltre mille sfollati. La coalizione sta del resto bombardando in quest’area quasi ogni giorno. Anche perché il Daesh, che sarebbe ormai in grande difficoltà, si sta giocando il tutto per tutto. Sapendo di non avere nulla da perdere. A metà settembre, proprio su questo fronte, gli uomini dell’autoproclamatosi Califfo avrebbero condotto nel giro di 24 ore ben due attacchi chimici, con decine di morti e centinaia di feriti.

La presunta fabbrica chimica, adoperata per armare con gas mostarda e cloro missili convenzionali, sarebbe stata distrutta proprio in un raid aereo della coalizione il 16 settembre a Zab, che si trova 75 chilometri a sud-ovest di Kirkuk, quindi sempre poco oltre l’attuale linea del fronte. In uno di questi attacchi, il 24 settembre, giorno del nostro arrivo a Kirkuk, sarebbero morti anche due quadri locali del Daesh, Al-Giavalì e Abu Qatada. In questi ultimi due giorni una serie di segnali fanno ritenere che stia di nuovo succedendo qualcosa su questo fronte. Ai checkpoint l’attenzione è ancora maggiore e nei campi al lato della strada che porta verso sud c’erano diversi uomini armati. Poco oltre un collega che faceva una diretta televisiva. Nella vicina città di Suleymaniye, la “capitale” economica del Kurdistan iracheno che si trova a soli 45 minuti di auto da Kirkuk, una colonna militare si stava preparando a partire. E ai giornalisti di stanza a Kirkuk, per la prima volta, è stato consigliato di non uscire dall’hotel o, se necessario, muoversi con la scorta armata.