Il «no es no» di Pedro Sánchez al governo di larghe intese con Mariano Rajoy non è piaciuto ai dirigenti del Psoe. Quando, sabato 1 ottobre, il segretario si è presentato al comitato federale del suo partito è stato accolto tra grida, spintoni e insulti. Per 12 lunghe ore. Finché, alle 20,20, i membri del comitato hanno votato a mano alzata la proposta del segretario di celebrare le primarie per l’elezione del segretario generale. Il 23 ottobre, e cioè prima di tornare in Parlamento per tentare di formare un nuovo governo. I socialisti non hanno dato fiducia al segretario, negando così la possibilità di lavorare a un governo del cambiamento con Unidos Podemos e Ciudadanos: in 132 gli hanno votato contro, solo in 107 a favore. Così, a due anni e tre mesi dalla sua elezione a capo del Psoe, Pedro Sánchez si è dimesso da segretario generale.
Se imponen en el PSOE los partidarios de dar el gobierno al PP. Frente al gobierno de la corrupción, nosotros seguiremos con y por la gente
— Pablo Iglesias (@Pablo_Iglesias_) 1 ottobre 2016
Il governo del cambiamento che Sanchez avrebbe voluto costruire con Podemos e Ciudadanos, oramai, è un’ipotesi impossibile. Adesso, il bivio per i socialisti è tra l’investitura al “nemico di sempre” Rajoy e un ritorno al voto entro l’anno. E, a questo punto, non è difficile immaginare cosa deciderà il Psoe senza Sánchez. I commissari già fanno sapere che cercheranno in ogni modo di evitare le terze elezioni, coscienti della «gravità istituzionale» che avrebbe un terzo ritorno alle urne in un anno. A sinistra, e lo sa bene Unidos Podemos, adesso si apre una prateria. Una prateria molto simile a quella che in Grecia il Pasok lasciò alla Syriza di Alexis Tsipras. Una prateria che, di questo passo, potrebbe cambiare i connotati della socialdemocrazia europea.
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