Continua a crescere il consenso per Marine Le Pen in Francia. Gli ultimi sondaggi danno in testa il suo Front national (Fn) con il 28%. Ma a turbare i sogni puri della formazione di destra arriva in questi giorni una comunicazione del tribunale: i giudici istruttori hanno rinviato a giudizio due dirigenti del partito, Wallerand de Saint-Just e Jean-François Jalkh. Lo riporta il quotidiano Le Monde, secondo cui i fatti riguardano l’indagine su sospetti guadagni fraudolenti ai danni dello Stato nelle campagne elettorali legislative e presidenziali del 2012.
France, Ifop poll:
FN-ENF: 28%
LR-EPP: 27%
PS-S&D: 12%
EM!-NI: 12%
FG-LEFT: 12%
DLF-EFDD: 5%
EELV-G/EFA: 3%
LO-NI: 2%#Presidentielles2017— Europe Elects (@EuropeElects) 5 ottobre 2016
In pratica gli inquirenti sospettano l’esistenza di un sistema per accumulare denaro pubblico, approfittando dei rimborsi statali per la campagna elettorale: l’accusa è di frode e appropriazione indebita e uso improprio, ha detto all’agenzia Afp una fonte vicina agli inquirenti.
Financement des campagnes 2012: le FN et deux de ses dirigeants renvoyés en procès. https://t.co/eO4hTYebbw #AFP
— Agence France-Presse (@afpfr) 6 ottobre 2016
In particolare, al tesoriere del Front national, Wallerand Saint-Just, viene mossa l’accusa per il reato di uso improprio di beni aziendali, mentre a uno dei vice presidenti, Jean-François Jalkh, quello di truffa, appropriazione indebita e uso improprio di beni aziendali, sempre secondo la stessa fonte. Il Front national, dal canto suo, contesta le accuse e ha già annunciato di voler ricorrere contro il rinvio a giudizio. «Non siamo per niente d’accordo», ha replicato il tesoriere dagli schermi di Europe1: «Quei giudici non mollano la presa. Ma noi riusciremo a fargliela mollare». Da Jean-François Jalkh, invece, al momento solo silenzio.
Al centro delle indagini, i kit della campagna elettorale (opuscoli, manifesti, cartoline postali) – costati 16.650 euro – forniti ad alcuni dei 525 candidati del Fn da parte della società Riwal, guidata da Frédéric Chatillon, l’ex dirigente del Gud (Groupe Union Défense), gruppo di estrema destra ultraradicale (e ultraviolento) già coinvolto nello scandalo dei Panama Papers e considerato molto vicino a Marine Le Pen. Per l’acquisto, i candidati hanno dovuto contrattare un prestito con tanto di interessi con Jeanne, un movimento satellitare del Front national. Secondo gli inquirenti alla alla base di questo sistema complesso ci sarebbero vantaggi e fatturati gonfiati, a spese dello Stato che, secondo la legge francese, rimborsa le spese elettorali ai candidati che superano il 5% dei voti.
Per Marine Le Pen – che è stata ascoltata dai giudici in qualità di testimone assistito e non è incriminata di alcun reato – la grana arriva proprio mentre è alle prese con “il suo vecchio”. Reduce da una condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo a tre mesi di reclusione con la condizionale e 10mila euro di ammenda, Jean-Marie Le Pen ha annunciato, come riporta il quotidiano Le Matin, che sarà presente all’udienza dell’alta corte di Nanterre per chiedere di annullare la sua esclusione dal Front National. Sospensione decretata nell’estate del 2015 dopo alcune dichiarazioni di Le Pen sulla Shoah, che – ha detto – «non è stata particolarmente inumana, anche se vi furono degli errori, inevitabili in un Paese di 550mila chilometri quadrati». Adesso papà Le Pen chiede al partito che ha fondato e poi consegnato alla figlia Marine di essere reintegrato, e pure 2 milioni di euro di risarcimento per i danni arrecati alla sua «dignità, onore, reputazione e azione politica». Cosa dice sul suo sostegno alla figlia per le presidenziali 2017? «Per il momento no».