D'Alema che si muove solo per ripicca, anzi per «odio personale per una poltroncina negata». Benigni mandato all'inferno con la pena di declamare in eterno il nuovo articolo 70. Nell'attesa che il Tar risponda al ricorso sul quesito, il 17 ottobre, una domanda: non si può far di meglio?

«Spiace che i sostenitori del No si siano addestrati su tre o quattro refreain», e che non ti seguano, dunque, «quando si va su argomenti più complessi». Questa è la cosa più gentile sentita ieri in uno dei quotidiani dibattiti sul referendum costituzionale, e sono parole di Elisabetta Gualmini, che dovrebbe esser una politologa prima che la vicepresidente della regione Emilia Romagna, per il Pd. Era ospite di Otto e Mezzo con Marco Travaglio.

Gualmini ha anche commentato la battuta che Luca Lotti poche ore prima aveva indirizzato a Massimo D’Alema. Secondo Lotti, D’Alema sarebbe «accecato dalla rabbia e dall’odio personale per non aver ottenuto la sua poltroncina di consolazione» e per questo starebbe conducendo la battaglia per il No. Gualmini ha persino rincarato: «È un linguaggio un po’ inusuale per Lotti, è vero», ha detto, «ma certe volte parole forti ci possono anche stare». È proprio una ripicca, quella di D’Alema, per Gualmini, che ripercorre il ragionamento: «D’Alema ha scritto dal 1995 in avanti che era a favore del superamento del bicameralismo, che era per il doppio turno, e per il potenziamento dei poteri dell’esecutivo. Adesso ha completamente cambiato idea, e mi pare sia mosso dal livore». Insomma: «È un po’ triste».

È triste D’Alema che si muove per ripicca va bene (soprattutto perché, magia, son spariti gli argomenti più che fondati del fronte del No), ma forse è più triste questo continuo banalizzare il dibattito. Banalizzarlo e incattivirlo, in un circolo vizioso – bisogna dire – che è favorevole al premier, che punta al solito schema GufiVSRottamatori, ma da cui il fronte del No non riesce a sottrarsi. Come con gli attacchi a Roberto Benigni. E curioso è poi che gli stessi giornali che lo alimentano, ricercando la battuta sarcastica dall’intervistato, per dare uno straccio di titolo alle pagine, si dicano poi sconcertati e stufi. Scrive giustamente Folli su Rapubblica: «C’è un’alternativa alla prospettiva di due mesi di rissa elettorale come quella a cui assistiamo in questi giorni? La risposta sprezzante del sottosegretario Lotti alle critiche di D’Alema induce a pensare che no, questo sarà lo stile della campagna fino al 4 dicembre. Sotto questo aspetto, il paragone è scoraggiante. La Costituzione del 1948 fu la cornice di un Paese che seppe riconoscersi in alcuni valori fondamentali nonostante le drammatiche lacerazioni politiche dell’epoca. Oggi, viceversa, più che una discussione pubblica sulla riforma della Carta, prevale la logica della resa dei conti. La costante delegittimazione dell’avversario, tipica degli anni della cosiddetta Seconda Repubblica, prosegue e si trasferisce sul terreno referendario». Giusto. Buona cosa sarebbe offrire meno tribune, ma è complicato, lo sappiamo.

Vuoi per ragioni di share, vuoi per i clic, vuoi perché molti dei politici più in vista non sembra saper argomentare diversamente, è come se fossimo condannati a due mesi di spacconate, sul referendum. Spacconate, insulti, plateali mistificazioni. Mezzucci di propaganda, a volta scivolosi come il ricorso (la risposta del Tar arriverà il 17 ottobre) sul quesito referendario, presentato da un pezzo del fronte del No che però su quello stesso quesito aveva giusto un paio di mesi fa raccolto le firme. Il problema era che ad esser demagogico era il titolo della legge? Bastava dirlo all’epoca. Non si è detto, e il punto l’ha segnato così la propaganda del premier. Che sul questo terreno è più bravo, come ha imparato Zagrebelsky.