Deepwater ci riporta all’incidente del 2010 nel Golfo del Messico. Ma basta raccontare fedelmente la realtà per fare un film “impegnato”? Siamo andati a vedere il disaster movie diretto da Peter Berg

Che succede se fai vedere a un ambientalista un filmone hollywoodiano su una delle peggiori catastrofi ecologiche mai causate dall’uomo? Avvertenza per il lettore: quella che segue non è una recensione ma la cronaca di due modi diversi di guardare uno stesso evento e la sua rappresentazione cinematografica. La pellicola in questione è Deepwater Horizon (in Italia il titolo è Deepwater – Inferno sull’oceano), il disaster movie appena uscito nelle sale dedicato all’incidente che il 20 aprile 2010 ha causato la morte di undici persone e l’enorme fuoriuscita di petrolio dalla omonima piattaforma di proprietà della compagnia Bp, sulla quale operavano per le attività di perforazione i tecnici della società Transocean.

Ben 4 milioni di barili di greggio dispersi nelle acque del Golfo del Messico perché i dirigenti del gigante petrolifero hanno sottovalutato un problema tecnico. Il disastro ambientale ed economico – l’industria ittica e quella turistica dell’area sono ancora oggi in ginocchio – nel film diretto da Peter Berg si sintetizza in una sola scena: un pellicano intriso di greggio irrompe nella cabina di comando di una nave “di servizio” appostata a poca distanza dalla piattaforma e sbatte da un vetro all’altro fino a cadere stremato.

La vocazione del film è un’altra, come ci ha spiegato il produttore italiano Lorenzo Di Bonaventura nel corso di una recente visita in Italia: «Ci siamo concentrati sul racconto delle cause e non delle conseguenze e, in particolare, sugli atti di ordinario eroismo del personale a bordo della piattaforma al momento dell’incidente. Volevamo che fosse prima di tutto un omaggio alle undici vittime». Di Bonaventura ha anche invitato i media a dare visibilità al film «per convincere gli Studios a realizzare sempre più pellicole come questa, basata su fatti reali e dedicata prevalentemente a un pubblico adulto, oltre a quelle che si producono più spesso sui supereroi».

Insomma, la pretesa è quella di un film impegnato, ma basta raccontare fedelmente la realtà di persone “normali” per poterlo definire tale?

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