Centinaia di morti in cinque giorni. E c’è chi parla di «nuove vette dell’orrore». Ora Assad vuole distruggere Aleppo per costringere i ribelli ad allearsi con gli estremisti e delegittimarli. Ma la battaglia sarà un pantano

Ahmed, come stai? Ogni volta che glielo chiedo, lo chiedo alla Siria.
È stata la mia prima faccia di guerra arrivata dal mare. Partito da Latakia due anni prima, ti raccontava l’inferno della fuga durato 24 mesi con un broncio fiero, una rocciosa dignità di siriano palestinese. A Lampedusa era sbarcato con uno smartphone, una busta di plastica, un cappellino e un paio di centinaia di dollari in tasca, ma non potevi offrirgli nemmeno una coca cola se non ne accettavi prima tre da lui. Arabian way. Anche i suoi nonni, palestinesi, molti anni prima, erano scappati da una guerra e si erano rifugiati nel Paese di Assad. «Andrò in Norvegia, diventerò un europeo. Con quel passaporto potrò andare ad Haifa, la città dei miei avi, potrò visitare la Palestina. Adesso è territorio di Israele e non mi fanno entrare». Dei tanti siriani che hanno intrecciato i loro giorni a quelli di chi li incontrava mentre sbarcavano, marciavano, sognavano una meta finale mentre la meta si spostava a orizzonti sdoppiati da muri e cavalli di Frisia, Ahmed più che legare un filo, ha fatto un nodo. Un groviglio che nessuno di noi due prova a sciogliere più. Da quel 2013 di naufragi, quando arrivò appena dopo i morti del 3 ottobre, non ha mai smesso di inviare link, ultime notizie, parole che arrivavano da social, forum, chat per parlarti day by day della Siria. Immagini di chi era rimasto a combattere per un’idea di libertà, una parola leggera come le palline da ping pong che usava, una parola che lui sentiva di aver abbandonato scappando.
Siria come stai? «Sono stanco». Immagino la sua espressione durante le lezioni di norvegese. Poi immagino quella che gli appare sulla faccia quando parla della sua famiglia sparsa tra il Medio Oriente, l’Europa e la soglia della morte, quando ogni giorno deve chiamare qualcuno, per capire se è vivo, se è morto, se è tutt’e due. Immagino perché se è difficile capire che vuol dire perdere una patria, figurarsi perderne due, come è successo a lui. Rimpiangeva di non aver visto ancora la sua prima, la Palestina, ora teme di non vedere mai più nemmeno la seconda.
Siria, come stai? Immagino quante volte ci pensa nel ristorante scandinavo dove gli permettono di lavorare solo un giorno a settimana.
Siria. Aleppo: chi vince la città, vince la guerra?

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