Dopo gli ultimi toni trionfalistici da parte del ministro Giannini sul numero di studenti che hanno aderito all’alternanza scuola lavoro, oggi si torna a parlare di legge 107 e delle sue conseguenze. Ma dall’altra parte della barricata, diciamo. Dal basso, dal mondo tormentato degli insegnanti. Oggi infatti è la giornata dello sciopero generale promosso dai sindacati Usb, Unicobas e Usi contro le politiche del governo sull’istruzione e non solo. Ma è anche quella del convegno che si tiene a Foggia oggi e domani Ripensare la scuola, organizzato dal Cidi (Centro di iniziativa democratica insegnanti). «Perché la scuola deve diventare un centro di ricerca sull’insegnamento», dice Giuseppe Bagni, presidente del Cidi. Una visione ideale, visti i tempi, ma qualcuno che pensi alla didattica e all’insegnamento ci deve pur essere. Abbiamo chiesto quindi a Bagni di fare il punto sulla situazione che si vive nelle scuole italiane a oltre un anno dall’approvazione della Buona scuola e a un mese e mezzo dall’inizio dell’anno scolastico con gli istituti ancora privi di insegnanti, mentre il concorsone con la sua media di bocciature (il 50%) continua a far discutere.
Professor Bagni che ne è dell’istruzione ai tempi della Buona scuola? Quali sono i problemi più grandi in questo momento?
Sicuramente nei rapporti interni alla scuola, legati agli umori e alla qualità dei dirigenti e al loro dialogo con il corpo docente. Il passaggio di ruolo del dirigente che valuta e assume in qualche maniera, sta creando un gruppo di docenti selezionati e scelti accanto a un altro gruppo di insegnanti mandati dall’Ufficio scolastico ma non richiesti. E’ il famoso organico di potenziamento. Solo che in questo momento – in cui la scuola è impegnata nella realizzazione del piano triennale e nel Rav, il sistema di autovalutazione – i dirigenti sanno che il loro operato non sarà valutato sulla base dell’attuazione del piano ma sarà legato alle indicazioni che il direttore generale regionale ha dato ai dirigenti. C’è una gerarchizzazione che incombe. E questo grazie alle nuove norme della legge 107 sulla valutazione dei dirigenti scolastici. Il clima di collaborazione e di condivisione è decisamente peggiorato e i casi in cui il dirigente lavora bene insieme al collegio docenti sono eccezioni.
Quindi anche i dirigenti non se la passano bene: che tipo di indirizzi vengono dati dalla direzione generale?
Banalmente possono essere di rilancio del numero di iscrizioni, possono avere contenuti più didattici oppure solo generici. Però resta il fatto che il dirigente sa di non essere valutato sul piano triennale della scuola. Deve rispondere a un superiore gerarchico che alla fine dei tre anni lo valuterà. La sudditanza rispetto al direttore generale è grande. Ora, va detto che un dirigente se è forte e bravo sa che non può avere una scuola in contrasto con i suoi insegnanti e quindi si occuperà del piano triennale e della condivisione e collaborazione con i suoi docenti. Ma altri, meno capaci e più deboli, magari si assoggetteranno al superiore. Aumenterà così la differenza tra istituti.
Le disuguaglianze così quindi non finiranno…
Sì, ci sono anche sull’organico di potenziamento, il personale dell’autonomia che dovrebbe essere di pari ruolo con gli altri. Solo che questo folto gruppo di docenti è arrivato nelle scuole in maniera casuale. E questo ha fatto sì che molti istituti abbiano ribaltato i loro progetti in base alle caratteristiche del personale del potenziamento. Si parla di autonomia scolastica e invece si è costretti a ribaltare il ruolo della progettualità. E poi se a scuola arrivano prof con competenze diverse è chiaro che non si riesce a realizzare nulla.
E poi c’è la questione del concorso e del precariato.
Che a un mese e mezzo e di scuola non ci siano insegnanti dentro le scuole, non se lo aspettava nessuno dopo la tanta sbandierata stabilizzazione dei precari e il concorso. Ora, a proposito del concorso, è stato bocciato il 50% dei partecipanti. Ma si badi bene, non sono neolaureati, sono pluriselezionati e abilitati. Sono state bocciate persone che avevano fatto il loro percorso, che insegnavano da anni. Questo creerà una difficoltà oggettiva ai singoli insegnanti che dopo essere stati bocciati tornano a fare i supplenti e che lo potranno fare solo per tre anni, perché la legge dice che dopo i 36 mesi devono essere messi a ruolo.Dal punto di vista del personale docente quest’anno si pensava che la situazione fosse più facile, invece è esattamente il contrario. Ma una nota positiva c’è.
Una nota positiva? Quale professor Bagni?
Oltre 40mila insegnanti sono nell’anno di prova tra quelli usciti dal concorso e quelli delle Gae, e quindi hanno un tutor, un insegnante che è responsabile del loro operato. Questo significa che c’è una bella fetta di insegnanti che si confrontano e ragionano. E’ quindi un’ occasione per la scuola. Ottantamila insegnanti che analizzano il loro lavoro, che fanno peer education, apprendimento riflessivo, potrebbe essere l’occasione per cui la scuola potrebbe diventare un organismo che faccia ricerca su di sé.
Di questo parlerete al convegno a Foggia? Dell’aspetto riflessivo?
Foggia è l’esempio di un mega collegio che riflette sul proprio lavoro, tanto è vero che non abbiamo previsto relazioni, ma sei confronti tra venerdì e sabato, tra osservatori esterni e docenti del Cidi. Parleremo dell’inclusione, del ruolo dell’insegnante, della scuola 0-6, del dirigente scolastico. La vera riforma della scuola è creare lo spazio e il modo per cui la scuola deve essere un centro di ricerca sull’insegnamento. E naturalmente non può essere da sola, perché deve collaborare strettamente con l’università.
Sembra però che la tendenza adesso nella scuola, come si vede dalla legge 107, sia quella di orientare sempre più la scuola verso il lavoro. La scuola propedeutica al lavoro e non alla formazione di cittadini critici e consapevoli.
Ma se ci fosse l’idea della scuola propedeutica al lavoro sarebbe comunque un’idea! Contestabile, ma comunque un’idea. Invece la tendenza è che lo studente deve infarinarsi del mondo del lavoro, deve assaggiare piccole esperienze di lavoro perché quelle fanno bene. È un’idea che non esisteva nemmeno nell’Ottocento. E’ una scuola che non forma ma informa. Per cui spesso accadono cose di questo tipo. Visto che spesso gli studenti dei licei si iscrivono a Medicina sa da noi a Firenze dove li mandano con l’alternanza scuola-lavoro? All’ospedale di Careggi. Ma cosa può prendere uno studente di liceo in un ospedale? Dove lo mettono, in corsia? Può soltanto stare all’Urp, allo sportello per il pubblico a vedere quello che succede.
Che cosa dovrebbe fare la scuola invece per far avvicinare i giovani al lavoro?
A noi interessa portare il mondo esterno dentro la scuola e in questo c’è anche il mondo del lavoro. Si pensa di battere la disoccupazione giovanile, ma come si può fare con le visite al museo o nelle aziende? La scuola deve dare agli studenti strumenti per muoversi nel mondo del lavoro e non per farli diventare turisti dentro le aziende. Ma qui proprio non ci siamo, perché di didattica non si parla.
In conclusione costa sta diventando la scuola?
Intanto sulla formazione degli insegnanti c’è il timore che questa venga appaltata in futuro a agenzie private. Del resto a proposito di private sembra che la fiducia delle famiglie verso le paritarie aumenti. Viene liberalizzato tutto, non c’è più distinzione tra pubblico e privato. La scuola che era aperta a tutti, sta diventando aperta a tutto.