Domenica 30 ottobre, dopo due settimane di resistenza diplomatica esercitata dal parlamento della Vallonia, i rappresentanti dell’Ue e del Canada hanno firmato il CETA. Dopo le sigle apposte al trattato da Jean Claude Juncker, Robert Fico, Donald Tusk e Justin Trudeau, sono ora attese quelle dei 28 capi di Stato dei Paesi membri dell’Unione europea.
Ma non finisce qui: come spiega Jean-Pierre Stroobants su Le Monde, il trattato dovrà essere anche ratificato da quasi 40 parlamenti nazionali e regionali, sebbene entrerà in vigore “temporaneamente” già prima del completamento di tale processo.
E la resistenza vallone? Ha portato a qualcosa?
Tecnicamente il CETA non è stato modificato di una virgola. Ma sono stati annessi una serie di documenti, 36 per l’esattezza, che vanno a chiarire alcuni punti fondamentali delle negoziazioni.
Secondo Paul Magnette, Primo ministro della Vallonia, nonché volto pubblico della resistenza al trattato, questi documenti interpretativi rappresentano “miglioramenti concreti” e “legalmente vincolanti”. In un’intervista rilasciata dopo il raggiungimento dell’accordo, Magnette ha anche ribadito che “gli standard ottenuti grazie alla resistenza vallone, rendono di fatto lettera morta il TTIP (Trattato transatlantico di libero scambio con gli Stati Uniti d’America)”. Ma il risultato più importante delle negoziazioni interne tra le comunità federali del Belgio è un altro: il sistema di regolamentazione delle controversie tra investitori e Stati, previsto dal CETA, verrà rimesso al giudizio della Corte europea di Strasburgo che ne dovrà valutare la conformità con i trattati europei.
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