Sono veneta. E come la maggior parte delle persone amo il posto in cui sono nata e cresciuta, le colline del prosecco, quel verde così verde, le strade di campagna costeggiate da fossati, il freddo e pure la nebbia quando c’è. Amo il Veneto perché è casa mia. Soprattutto sono per la difesa del territorio. Sì, perché la mia regione è seriamente minacciata. Le minacce sono razzismo, xenofobia, stupidità generalizzata. Qualche giorno fa, ai microfoni de La Zanzara, Joe Formaggio, sindaco di Albettone, paesino in provincia di Vicenza, ha dichiarato: «Immigrati? Se ce li mandano muriamo le case e le riempiamo di letame; siamo orgogliosamente razzisti». Poi, non pago: «Se un prefetto manda i profughi qui ad Albettone le barricate di Gorino passeranno in secondo piano». E ancora: «Non vogliamo negri e zingari, da noi rischiano la pelle. Esportiamo cervelli e importiamo negri. Sono meno intelligenti di noi, sono inferiori». Addirittura il sindaco ha fatto produrre un cartello ad hoc: un divieto d’accesso ai nomadi. Ora per un attimo tralasciamo la questione legale e il fatto che queste dichiarazioni violano una serie di principi del nostro ordinamento, in primis istigando alla discriminazione e all’odio razziale. Pensiamo alla difesa del territorio, la stessa che sta tanto a cuore a Formaggio. Perché, quando a parlare e a dare un’immagine al resto del Paese di cos’è il Veneto sono personaggi come il sindaco di Albettone, io mi vergogno. Mi vergogno del fatto che da quel verde così verde, da quelle campagne dove fino a 60 anni fa c’erano solo contadini che si spaccavano la schiena, da quei paesini da cui molto spesso si era costretti a migrare per cercare fortuna all’estero, emerga sovrastando tutto il resto soltanto la voce di un Joe Formaggio qualsiasi. Di uno che si è dimenticato che il Veneto (assieme alla Calabria) è stato per anni il fanalino di coda dell’Italia in quanto a povertà, che siamo un popolo di migranti. Svizzera, Belgio, Francia, Germania, Sud America, siamo partiti con le nostre valige di cartone e abbiamo trovato qualcuno che ci accoglieva, oppure no e abbiamo subito il razzismo degli altri.   Uno che si è scordato che fino agli anni 90 siamo stati terra di frontiera, dalla prima guerra mondiale, fino alla cortina di ferro. Il primo posto sicuro dove chi fuggiva dalla guerra in ex-Jugoslavia poteva mettere piede. Uno che si è scordato che le nostre “fabbrichette” sono piene di albanesi, che parlano dialetto veneto, di senegalesi, che parlano dialetto veneto, di rumeni, che parlano dialetto veneto. E anche se non parlano dialetto veneto è uguale perché, come noi, hanno contribuito con il loro lavoro alla ricchezza del nostro territorio. Fino a 10 anni fa, a quanto, riportava una statistica pubblicata su Limes, il paese con maggior tasso di integrazione fra italiani e stranieri era San Fior, comune di 6.970 abitanti nella provincia di Treviso, quella del sindaco sceriffo Gentilini. Un dato che dimostra quanto probabilmente le posizioni estreme dei politici di destra della nostra regione, non corrispondano alla realtà dei fatti. Po,i certo, è arrivata la crisi e si sa che la crisi complica le cose. Siamo diventati anche la regione con maggiore tasso di suicidi fra gli imprenditori (come mostrano i dati della Cgia di Mestre), ma la colpa non è degli immigrati e questa guerra tra poveri innescata da dichiarazioni come quelle di Formaggio è surreale. Peggio, danneggia l’immagine del nostro territorio e cancella la storia umile e silenziosa di una popolazione che si è sempre rimboccata le maniche per fare meglio e risolvere i problemi. Un detto popolare dice «muso duro e bareta fracada», delle dichiarazioni e soprattutto di queste dichiarazioni, non abbiamo bisogno. Noi siamo un’altra cosa. E il cartello da piantare in ogni comune forse sarebbe un bel divieto d’accesso ai Joe Formaggio d’Italia, a difesa del territorio. Così, a mo’ di promemoria, per non doversi più vergognare di essere veneti.

Sono veneta. E come la maggior parte delle persone amo il posto in cui sono nata e cresciuta, le colline del prosecco, quel verde così verde, le strade di campagna costeggiate da fossati, il freddo e pure la nebbia quando c’è. Amo il Veneto perché è casa mia. Soprattutto sono per la difesa del territorio. Sì, perché la mia regione è seriamente minacciata. Le minacce sono razzismo, xenofobia, stupidità generalizzata. Qualche giorno fa, ai microfoni de La Zanzara, Joe Formaggio, sindaco di Albettone, paesino in provincia di Vicenza, ha dichiarato: «Immigrati? Se ce li mandano muriamo le case e le riempiamo di letame; siamo orgogliosamente razzisti». Poi, non pago: «Se un prefetto manda i profughi qui ad Albettone le barricate di Gorino passeranno in secondo piano». E ancora: «Non vogliamo negri e zingari, da noi rischiano la pelle. Esportiamo cervelli e importiamo negri. Sono meno intelligenti di noi, sono inferiori».
Addirittura il sindaco ha fatto produrre un cartello ad hoc: un divieto d’accesso ai nomadi.
Ora per un attimo tralasciamo la questione legale e il fatto che queste dichiarazioni violano una serie di principi del nostro ordinamento, in primis istigando alla discriminazione e all’odio razziale. Pensiamo alla difesa del territorio, la stessa che sta tanto a cuore a Formaggio. Perché, quando a parlare e a dare un’immagine al resto del Paese di cos’è il Veneto sono personaggi come il sindaco di Albettone, io mi vergogno. Mi vergogno del fatto che da quel verde così verde, da quelle campagne dove fino a 60 anni fa c’erano solo contadini che si spaccavano la schiena, da quei paesini da cui molto spesso si era costretti a migrare per cercare fortuna all’estero, emerga sovrastando tutto il resto soltanto la voce di un Joe Formaggio qualsiasi. Di uno che si è dimenticato che il Veneto (assieme alla Calabria) è stato per anni il fanalino di coda dell’Italia in quanto a povertà, che siamo un popolo di migranti. Svizzera, Belgio, Francia, Germania, Sud America, siamo partiti con le nostre valige di cartone e abbiamo trovato qualcuno che ci accoglieva, oppure no e abbiamo subito il razzismo degli altri.

 

Uno che si è scordato che fino agli anni 90 siamo stati terra di frontiera, dalla prima guerra mondiale, fino alla cortina di ferro. Il primo posto sicuro dove chi fuggiva dalla guerra in ex-Jugoslavia poteva mettere piede. Uno che si è scordato che le nostre “fabbrichette” sono piene di albanesi, che parlano dialetto veneto, di senegalesi, che parlano dialetto veneto, di rumeni, che parlano dialetto veneto. E anche se non parlano dialetto veneto è uguale perché, come noi, hanno contribuito con il loro lavoro alla ricchezza del nostro territorio. Fino a 10 anni fa, a quanto, riportava una statistica pubblicata su Limes, il paese con maggior tasso di integrazione fra italiani e stranieri era San Fior, comune di 6.970 abitanti nella provincia di Treviso, quella del sindaco sceriffo Gentilini. Un dato che dimostra quanto probabilmente le posizioni estreme dei politici di destra della nostra regione, non corrispondano alla realtà dei fatti.
Po,i certo, è arrivata la crisi e si sa che la crisi complica le cose. Siamo diventati anche la regione con maggiore tasso di suicidi fra gli imprenditori (come mostrano i dati della Cgia di Mestre), ma la colpa non è degli immigrati e questa guerra tra poveri innescata da dichiarazioni come quelle di Formaggio è surreale. Peggio, danneggia l’immagine del nostro territorio e cancella la storia umile e silenziosa di una popolazione che si è sempre rimboccata le maniche per fare meglio e risolvere i problemi. Un detto popolare dice «muso duro e bareta fracada», delle dichiarazioni e soprattutto di queste dichiarazioni, non abbiamo bisogno. Noi siamo un’altra cosa. E il cartello da piantare in ogni comune forse sarebbe un bel divieto d’accesso ai Joe Formaggio d’Italia, a difesa del territorio. Così, a mo’ di promemoria, per non doversi più vergognare di essere veneti.