Ogni tanto mi capita di sperare di sbagliarmi. Così quando sottovoce mi sono permesso di sottolineare che il sasso lanciato da Castagnetti (che proponeva di rimandare il referendum a causa del terremoto, ne ho scritto qui) difficilmente avrebbe potuto essere una banale mossa estemporanea e qualcuno mi ha bacchettato dandomi del pessimista compulsivo e complottista (gufo, come si dice di questi tempi) ho sperato che avesse ragione lui. E invece, mannaggia, il flebile tweet di Castagnetti era solo il flauto d'apertura di una fanfara che nelle ultime ora sta suonando fino alla grancassa: sindaci, deputati, senatori, misconosciuti intellettuali del sì e un crogiolo di sostenitori ripetono che sì, che è davvero il caso di spostare il referendum per rispetto agli evacuati del terremoto. Alcuni di loro, addirittura, vogliono farci intendere che i terremotati tra l'altro non potrebbero votare compromettendo la veridicità del risultato finale. Tra i misconosciuti spunta il meno misconosciuto, tale ministro Angelino Alfano, che rilascia una dichiarazione alle agenzie: questo referendum non s'ha da fare, dice Alfano. Anche lui. E non passa nemmeno il tempo di un caffè che Matteo Renzi (sempre abile nel fingersi ago di una bilancia che è stata spesso solo una brutta messinscena) smentisce l'ipotesi di uno slittamento della data del referendum. Se avete buona memoria ricorderete che anche sull'articolo 18 ci fu un balletto simile. Se avete buona memoria ricorderete anche come è andata a finire. Mentre di solito si usa la tattica del poliziotto buono e del poliziotto cattivo tra il Presidente del Consiglio e il Ministro dell'Interno si sperimenta la nuova formula del poliziotto responsabile e del poliziotto scemo: Angelino, del resto, si trova a capo di un partito che ormai esiste solo in Parlamento e in molti lo raccontano terrorizzato dall'ipotesi di un rimpasto di governo che lo vedrebbe retrocedere (lui con la sua truppa di sottosegretari) al ruolo del soldato semplice e politicamente morituro. In un Paese normale, tra le altre cose, un ministro che viene smentito nel tempo di un amen dal suo Presidente del Consiglio alzerebbe le mani, bisbiglierebbe un ciao grazie e farebbe le valigie. In un Paese normale. Qui invece possiamo essere certi che il giochino di tentare di spostare il referendum a tempi migliori sia solo all'inizio. Intanto per rimanere in tema Renzi e i suoi sono sfiorati dall'idea di imbastire una Leopolda improntata sul pietismo con passerella di famiglie senza un tetto e folle da imbonire (ne potete leggere qui). Che differenza ci sia tra una senatrice grillina che grida al complotto e un partito (di governo) intero che usa il terremoto e la disperazione come leva elettorale lo potete decidere voi. Siamo solo all'inizio. Da qui al 4 dicembre i colpi di coda si moltiplicheranno. Uno al giorno. Tutti i giorni. Per stare nel merito, come dicono loro. Buon giovedì.

Ogni tanto mi capita di sperare di sbagliarmi. Così quando sottovoce mi sono permesso di sottolineare che il sasso lanciato da Castagnetti (che proponeva di rimandare il referendum a causa del terremoto, ne ho scritto qui) difficilmente avrebbe potuto essere una banale mossa estemporanea e qualcuno mi ha bacchettato dandomi del pessimista compulsivo e complottista (gufo, come si dice di questi tempi) ho sperato che avesse ragione lui.

E invece, mannaggia, il flebile tweet di Castagnetti era solo il flauto d’apertura di una fanfara che nelle ultime ora sta suonando fino alla grancassa: sindaci, deputati, senatori, misconosciuti intellettuali del sì e un crogiolo di sostenitori ripetono che sì, che è davvero il caso di spostare il referendum per rispetto agli evacuati del terremoto. Alcuni di loro, addirittura, vogliono farci intendere che i terremotati tra l’altro non potrebbero votare compromettendo la veridicità del risultato finale.

Tra i misconosciuti spunta il meno misconosciuto, tale ministro Angelino Alfano, che rilascia una dichiarazione alle agenzie: questo referendum non s’ha da fare, dice Alfano. Anche lui. E non passa nemmeno il tempo di un caffè che Matteo Renzi (sempre abile nel fingersi ago di una bilancia che è stata spesso solo una brutta messinscena) smentisce l’ipotesi di uno slittamento della data del referendum. Se avete buona memoria ricorderete che anche sull’articolo 18 ci fu un balletto simile. Se avete buona memoria ricorderete anche come è andata a finire.

Mentre di solito si usa la tattica del poliziotto buono e del poliziotto cattivo tra il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’Interno si sperimenta la nuova formula del poliziotto responsabile e del poliziotto scemo: Angelino, del resto, si trova a capo di un partito che ormai esiste solo in Parlamento e in molti lo raccontano terrorizzato dall’ipotesi di un rimpasto di governo che lo vedrebbe retrocedere (lui con la sua truppa di sottosegretari) al ruolo del soldato semplice e politicamente morituro.

In un Paese normale, tra le altre cose, un ministro che viene smentito nel tempo di un amen dal suo Presidente del Consiglio alzerebbe le mani, bisbiglierebbe un ciao grazie e farebbe le valigie. In un Paese normale. Qui invece possiamo essere certi che il giochino di tentare di spostare il referendum a tempi migliori sia solo all’inizio.

Intanto per rimanere in tema Renzi e i suoi sono sfiorati dall’idea di imbastire una Leopolda improntata sul pietismo con passerella di famiglie senza un tetto e folle da imbonire (ne potete leggere qui). Che differenza ci sia tra una senatrice grillina che grida al complotto e un partito (di governo) intero che usa il terremoto e la disperazione come leva elettorale lo potete decidere voi.

Siamo solo all’inizio. Da qui al 4 dicembre i colpi di coda si moltiplicheranno. Uno al giorno. Tutti i giorni. Per stare nel merito, come dicono loro.

Buon giovedì.