Lazy southern: i fannulloni del Sud. Sfaticati, indebitati, arretrati. Greci, spagnoli, italiani, portoghesi non hanno voglia di lavorare, hanno vissuto “al di sopra delle loro possibilità” e adesso la pagano, e cara anche. Insomma, la linea della Troika è questa: i “terroni europei” la crisi se la sono cercata. «La borghesia settentrionale ha soggiogato l’Italia meridionale e le isole e le ha ridotte a colonie di sfruttamento», scriveva invece Antonio Gramsci in Alcuni temi della quistione meridionale. La questione del Sud Europa sembra la versione europea della vecchia questione meridionale. Che sia Napoli, Atene o Madrid, il risultato non cambia. E infatti, sabato 5 novembre proprio nella città partenopea Left partecipa a una giornata di lavori organizzata dal Gue: SudÈuropa.
Prendiamo la Grecia. È il Paese dell’Unione dove si lavora di più: nel 2013 (austerity in corso) si sono registrate 2.037 ore per dipendente (poco più delle 2.034 dell’anno precedente): 267 ore in più della media europea (1.770), 649 più della Germania. Ma la Grecia è anche il Paese dove si guadagna di meno: lo stipendio medio è di appena 18.495 euro l’anno (in ulteriore calo dai 19.766 euro del 2012), mentre la media tedesca sfiora i 36.000 euro. Non solo, la ricerca Ocse – riporta il Sole 24 Ore – evidenzia cosa non quadra: la forbice tra quantità e qualità si scava in un’organizzazione “irrazionale” del lavoro. La Grecia adotta misure minime, o inconsistenti, per qualsiasi forma di part time e work-life balance, l’elasticità vita-lavoro che fa impennare la produttività a Nord delle Alpi. Con il risultato che un’ora di lavoro, nel 2012, oscillava poco sopra un valore di 34 dollari Usa: 20 in meno rispetto ai 59,5 di Francia e Danimarca.
Tassi di crescita bassi o bassissimi, disoccupazione giovanile alta, che in un contesto di alta mobilità giovanile comporta la perdita del capitale umano utile per l’attuazione di politiche di sviluppo. Mentre i Paesi del Sud si desertificano – ogni anno migliaia di giovani si spostano verso il Nord del Vecchio continente – l’Europa prosegue nella politica di austerità che fin qui non ha ridotto il divario, anzi. La forbice cresce, e con essa si aggrava la destabilizzazione politica degli Stati depressi, che restano incapaci di far fronte alle istanze popolari di benessere. Nessun investimento per il futuro (investimenti nella ricerca e nell’istruzione, o conversione all’economia verde o nuove politiche energetiche) ma solo gestione del presente. Il presente, l’ottica preferita dei mercati finanziari. Il fallimento del progetto europeo è ben visibile, così come lo sono le politiche necessarie per evitarlo.
«L’attuale crisi europea è un fenomeno complesso, non solo per le sue dimensioni generali ma anche per le tremende divergenze macroeconomiche che produce», scrive l’economista Emiliano Brancaccio già nel 2014. «Tra il 2008 e il 2013 Spagna, Italia, Portogallo, Grecia e Francia hanno perso complessivamente più di sei milioni di posti di lavoro, mentre in Germania si è registrato un aumento dell’occupazione di un milione e mezzo di unità. Inoltre, dall’inizio della crisi le insolvenze delle imprese sono diminuite in Germania, mentre sono aumentate del 90% in Italia e del 200% in Spagna. Si tratta di una forbice senza precedenti in epoca di pace, che tra l’altro alimenta le sofferenze delle banche mediterranee e accentua la loro debolezza rispetto agli istituti di credito del Nord del continente. La politica monetaria della Bce è uno strumento troppo limitato per fronteggiare da sola una crisi così asimmetrica, che ricade soprattutto sul Sud Europa e che invece sembra avvantaggiare la Germania e alcuni suoi satelliti». Il gap è evidente. Per contrastarlo, lo scorso settembre, i leader di Grecia, Italia, Francia, Portogallo, Spagna, Cipro e Malta si sono incontrati per un summit euro-mediterraneo – facendo arrabbiare non poco la Germania – «per formare un fronte anti-austerità che possa sfidare la retorica di Berlino su ulteriori misure di rigore», ha detto il leader greco Alexis Tsipras.
«L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà», profetizzava Giuseppe Mazzini. Se tanto mi dà tanto…