«Né i ricchi migranti, né i ricchi terroristi devono poter venire in Ungheria». E non solo i profughi. Il leader dell’estrema destra ungherese, Gabor Vona, fomenta il premier Viktor Orbán. E lui, Orbán – dopo aver perso il referendum anti migranti che non ha raggiunto il quorum – si nasconde dietro il «ricatto politico» degli estremisti di destra e propone le modifiche costituzionali anti-profughi al suo Parlamento: l’inserimento nella “Legge fondamentale” ungherese (la Costituzione) del divieto di insediamento in massa di stranieri in Ungheria. Ma dai deputati ungheresi è arrivato il No. Così, anche il secondo tentativo di inserire un ulteriore ostacolo legale contro le decisioni dell’Ue sulle quote obbligatorie di ripartizione dei migranti è fallito.
Il partito di governo, Fidesz, non ha la maggioranza qualificata dei due terzi. Perciò, è sceso a patti con i nazionalconservatori, populisti e antieuropeisti di Jobbik. Che, come non ha mancato di urlare in ogni tv il leader del partito xenofobo Gabor Vona, chiedono al governo di alzare il tiro e inserire un punto alle modifiche: la rinuncia dello schema per cui vengono accordati permessi di soggiorno ai ricchi extracomunitari che acquistino obbligazioni ungheresi per un valore nominale di almeno 300mila euro (dal 2013 a oggi l’Ungheria ha emesso più di 10mila obbligazioni di questo tipo). Ma l’appoggio degli xenofobi non è arrivato. E per due soli voti, la riforma dell’esecutivo targato Orbán non è passata.
Il meccanismo europeo di ripartizione dei rifugiati (relocation) prevede per l’Ungheria l’accoglienza di poco più di mille richiedenti asilo (1.294), ma ormai è una questione di principio per la destra ungherese che ha trasformato la questione nel cavallo di battaglia elettorale. In vista delle elezioni politiche del 2018, quindi, non è da escludere che – sotto ricatto o no – Orbán tiri fuori dal cilindro nuove carte per la sua guerra contro l’Unione europea.