Il tribunale di Milano ha respinto il ricorso presentato dal costituzionalista Valerio Onida. Il quesito referendario non lede il diritto al voto libero e consapevole e - come stabilito già sui ricorsi di Si e M5s - è scritto come prescrive la legge. Ma è furbo, e possiamo dirlo

«Non ritiene il Tribunale di ravvisare una manifesta lesione del diritto alla libertà di voto degli elettori per difetto di omogeneità dell’oggetto del quesito referendario». Così il giudice civile di Milano, Loreta Dorigo, archivia anche il ricorso presentato dal costituzionalista Valerio Onida, che sosteneva – in estrema sintesi – che il quesito referendario coprisse contenuti troppo eterogenei, diversi tra loro, per garantire la libertà di voto degli elettori.

Sul quesito referendario, dunque, essendo già stato cassato anche il ricorso presentato da Sinistra italiana e Movimento 5 stelle, non si può più di niente. Ad eccezione, ovviamente, della polemica politica, che è sempre legittima, di chi può comunque sostenere – non senza ragione – che il testo che gli italiani si ritroveranno sulla scheda è favorevole al governo. È un testo enfatico, che occhieggia all’antipolitica, parla dell’abolizione del Cnel, ad esempio, ma non di come è stato riformato l’istituto referendario o il meccanismo di elezione del presidente della Repubblica.

Ma è corretto, formalmente, scritto secondo quanto prescritto dalla legge 352 del 25 maggio 1970. Che, all’articolo 16, stabilisce che il quesito, in caso di referendum costituzionale, cita o l’elenco degli articoli modificati o il nome della legge. Renzi è stato dunque più furbo del fronte del No, dando alla legge, al momento della presentazione, un titolo ammiccante. «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario», c’è scritto sulla legge e sulla scheda, «la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione».

Sta ora dunque al fronte del No ricordare ciò che la scheda non dice. Che i senatori non saranno eletti direttamente ma nominati dai consigli regionali (salvo sorprese in cui sperano ottimisti alla Gianni Cuperlo); che per i referendum il quorum scende ma solo per chi raccoglie 800mila firme; che le leggi di iniziativa popolare arriveranno in parlamento solo con 150mila firme: oggi sono 50mila. O che – come vi spiegherà il giudice Di Matteo su Left in edicola da sabato e in digitale qua sotto – non dice nulla, il quesito, di come la riforma impatterà sulla giustizia o sull’elezione dei giudici della Corte che Camera e Senato non eleggeranno più in seduta comune.

Ne parliamo su Left in edicola dal 12 novembre

 

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