«La mucca sta bussando alla porta» ha detto Bersani. Magari non avete capito la battuta (tranquilli, colpa sua) ma ha detto una cosa giusta. La mucca, però, andava vista prima

Commentando le elezioni americane, Pier Luigi Bersani ha scritto il commento più virale, per merito di una delle sue battute, che funzionano sempre, bisogna dire (o almeno accendono un riflettore, perché spesso, in realtà, non si capisce bene cosa intenda). «Per dirla in bersanese», ha detto l’ex segretario dem, «la mucca nel corridoio sta bussando alla porta». L’avrete letto.

Siccome la battuta è per iniziati, a caldo, qui su Left, vi abbiamo tradotto la metafora in salsa emiliana, che riprende un avvertimento già rivolto a Matteo Renzi. La mucca, che all’epoca era nel mezzo del corridoio, un corridoio del Nazareno, sarebbe l’avanzata delle destre, che Renzi, tutto preso dalle sue strategie di comunicazione, per Bersani, non vede. La mucca, dice Pier Luigi Bersani, ha percorso ormai tutto il corridoio, è arrivata alla nostra porta, e sta bussando. La metafora funziona? Forse più del «tacchino sul tetto», ma non è comunque importante.

Una volta tradotta ci interessa dire che la metafora, efficace o no, dice una cosa giusta. Dice che agli squilibri che stanno dietro la vittoria di Trump, che stanno dietro la rabbia cavalcata dalle «destre della protezione» (come le chiama giustamente Bersani) si dovrebbe rispondere da sinistra, con politiche di sinistra. Perché è proprio folle – anche se non inspiegabile – che l’America delle disuguaglianze finisca per votare un esemplare dell’1 per cento che, si diceva, su quelle disuguaglianze campa.

Quello che vorremmo dire a Bersani, però, è che la mucca c’era anche nel 2011. Magari era sulle scale, almeno da noi, ma c’era. E la risposta scelta fu Mario Monti. Nel 2013, poi, la mucca era sul pianerottolo e ancora – senza riuscire a stanare i grillini – si è scelto Letta: non proprio Bernie Sanders. Ecco perché è interessante parlare ancora un po’ della mucca di Bersani.

Perché ci permette di ipotizzare un fallimento di Renzi – tutto impegnato a ammantare la solita via, la Terza via – ma perché ci permette di inquadrare anche gli errori fatti prima di Renzi (e che proprio l’arrivo di Renzi hanno favorito). Errori di Bersani, spesso, pur con l’attenuante delle condizioni ambientali.

Lo scrive bene Maurizio Davolio in una lettera che l’Unità ha ovviamente schiaffato in prima pagina. Una lettera contro Bersani (fate dunque la tara: Davolio è presidente del Sì). «Ma la fiducia al Governo Monti», scrive Davolio, «la legge Fornero, ecc non sono state scelte Bersani regnante? La più macroscopica violazione e umiliazione della sovranità del Parlamento e violazione della Costituzione non è avvenuta quando si è inserito il pareggio di bilancio in Costituzione, anche questa con Bersani regnante? Io allora quelle scelte le condivisi, ma per favore se sei pentito chiedi scusa e dillo che ti sei sbagliato. Altroché mucca nel corridoio. Lui non l’ha vista nel febbraio del 2013, anzi l’aveva scambiata per un giaguaro».

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.