«Diamo il benvenuto alla Russia nel suo giusto posto tra le più grandi Nazioni del mondo. Siamo lieti di vederne la bandiera sui mari. Soprattutto, siamo lieti che abbiano luogo frequenti e sempre più intensi contatti tra il popolo russo e i nostri popoli. È tuttavia mio dovere prospettarvi determinate realtà dell’attuale situazione in Europa. Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente». Lo disse Winston Churchill il 5 marzo del 1946, e quello fu il via ufficiale alla Guerra Fredda. Settant’anni dopo, nuovi movimenti percorrono quella “cortina di ferro”. In due giorni, i filorussi si sono aggiudicati due elezioni: quella in Bulgaria e quella in Moldavia. Due ex Repubbliche sovietiche guardano a Est, verso il Cremlino, mentre la scorsa settimana, in Estonia, si è iniziato a fare strada il governo filorusso con a capo Jüri Ratas. È lecito, a questo punto, chiedersi se l’Europa si stia assestando sotto i colpi dei due giganti che si muovono. Tra l’Est di Putin e il West di Trump.
In Bulgaria
Non mette in dubbio l’appartenenza della Bulgaria all’Unione europea né alla Nato, ma il neopresidente non perde occasione per ricordare che «l’eurofilia non deve trasformarsi in russofobia». Con il 58%, il successore dell’indipendente Rosen Plevneliev è Rumen Radev, l’ex capo dell’aeronautica militare bulgara sostenuto dai socialisti. Radev è un “filorusso” che conta una lunga carriera militare alle spalle, è stato generale di un Paese della Nato e si è formato come pilota negli Stati Uniti d’America, ma i pilastri del suo programma sono: riallacciare le relazioni con Mosca e abolire le sanzioni contro la Russia. «Oggi la democrazia in Bulgaria ha vinto sull’apatia e la paura, nonostante il governo sventolasse lo spauracchio di un’apocalisse se avessimo vinto, avete votato per il cambiamento», ha dichiarato appena eletto. Alla vittoria di Radev sono già seguite le dimissioni del premier conservatore Boyjo Borisov (Gerb), la sconfitta della sua candidata, Tseska Tsaceva, significa il governo di Gerb e Blocco Riformatore appoggiato dai nazionalisti del Fronte Patriottico, non può contare più sulla fiducia della maggioranza dei bulgari. La strada per le elezioni anticipate è aperta.
In Moldavia
Racchiusa tra Ucraina e Romania.
Riaprire le trattative sugli accordi firmati due anni fa da Chisinau con l’Unione europea e sviluppare gli scambi commerciali con la Russia. Con questi punti in altro al suo programma, Igor Dodon ha vinto le elezioni in Moldava con in 55%. Con la sua vittoria sulla candidata europeista Maia Sandu (44,7%) l’ex Repubblica sovietica torna a guardare a Est. Al centro del dibattito, quindi, c’è l’Accordo di Associazione e di Libero Scambio con l’Unione Europea entrato in vigore il primo settembre del 2014. Quella partnership commerciale preferenziale ha gettato le basi per un’area di libero scambio e non è stata presa benissimo da Mosca che, sin dal primo istante, ha avvisato: è un tentativo dell’Ue di aggiudicarsi l’esclusiva sulla Moldavia, ritirare l’adesione al trattato o incorrere in pesanti sanzioni. Insomma Mosca non vuole mollare la presa sul suo ex satellite che – tra conflittualità interna (il conflitto in Transinistria va avanti dal 1992), corruzione delle classi oligarchiche al potere, instabilità politica ed economica – è il Paese più povero ed economicamente arretrato d’Europa (lo dice la Banca Mondiale). E, con il voto di questo weekend, la Moldavia s’allontana ancora un po’ da Bruxelles.