Non sembra essere immediato né imminente il reintegro dell'ufficiale dell'aeronautica che condusse la contro-inchiesta sul caso Ustica. Nonostante una sentenza che, a 33 anni di distanza, testimonia la falsità del provvedimento preso nei suoi confronti. Adesso, si attende il pronunciamento del ministro Pinotti

Potrebbe non essere reintegrato in servizio Mario Ciancarella, capitano pilota dell’aeronautica militare che fu radiato nel 1983 con la firma falsa di Sandro Pertini in relazione al caso Ustica. Almeno stando alle informazioni che Left ha raccolto presso gli uffici del ministro della Difesa, Roberta Pinotti.

Ostinato nella contro-inchiesta sulla strage di Ustica, l’ufficiale ha atteso 33 anni una sentenza che ristabilisse la verità. E così è stato: il Tribunale civile di Firenze ha riconosciuto l’effettiva falsificazione della firma del Presidente in calce a quel decreto, stabilendo la nullità della procedura emessa nei confronti del militare. Non ne ordina il reintegro direttamente, ma secondo diverse pronunce di Cassazione, una sentenza del genere dovrebbe determinarlo implicitamente. E in effetti, a 48 ore da una conferenza stampa a Montecitorio di Ciancarella assieme a due deputati, Claudio Fava (vice presidente della commissione Antimafia) e Davide Mattiello (Pd) che annunciavano un’interrogazione al ministro Roberta Pinotti sulla questione, l’avvocato Mauro Casella, legale di Ciancarella, ha ricevuto dal ministero della Difesa, una mail certificata con l’invito a mettersi in contatto: «Si comunica per opportuna conoscenza che gli atti pervenuti e afferenti alla pratica del suo assistito sono stati inoltrati per i successivi adempimenti di competenza, alla direzione generale per il personale militare, alla quale potrà rivolgersi per qualsiasi informazione/chiarimento si rendesse necessario».

Così sabato sera, le agenzie titolavano “Il ministro della Difesa reintegra Ciancarella”. Eppure, nessuna dichiarazione del ministro viene registrata. Gli stessi Mattiello e Fava convinti che Roberta Pinotti avesse dato mandato agli uffici di procedere al reintegro del capitano, annunciavano: «Apprendiamo la notizia dalla famiglia e siamo grati al ministro. Una decisione giusta e presa con tempismo». I due deputati ricordavano che avevano avanzato la richiesta del reintegro giovedì a Montecitorio, sulla base della sentenza che ha definitivamente accertato la falsificazione del decreto presidenziale. «Quella falsificazione – dicono i due esponenti della Commissione Antimafia – fu, nella sostanza, un depistaggio che offese tanto la vita di Ciancarella, quanto la stessa presidenza della Repubblica italiana».

Invece, ieri, Left ha avuto una risposta diversa: «La pratica è negli uffici competenti per una valutazione ma non ci sarà reintegro – ci è stato spiegato – la sentenza di Firenze dice solo che bisogna risarcire le spese legali», 5.800 euro più i bolli eccetera eccetera. Il motivo? Sembrerebbe, sempre stando all’ufficio stampa del ministero, l’età avanzata del militare, 65 anni. A chiarire i dettagli della vicenda potrebbe essere ora la risposta al question time annunciato da Fava e Mattiello.

La vicenda, raccontata nel numero 43 di Left, si configura come una sorta di caso Dreyfus italiano e, se l’ufficiale francese radiato nel 1894, aveva la colpa di essere ebreo, Ciancarella quella di essere “comunista”, così apparivano agli occhi dell’apparato politico-militare italiano, all’epoca della Guerra Fredda, gli ufficiali fedeli alla Costituzione. La guerra ai rossi giustificava ogni menzogna e ogni misfatto, com’è possibile ricavare dalla lettura degli atti della lunghissima Commissione Stragi, così si evince dalle parole del capo di Stato Maggiore del ’95, generale Arpino, che ammise le bugie ufficiali sul Mig libico rinvenuto sulla Sila nei giorni successivi alla strage di Ustica: dovete capirci, disse più o meno nell’audizione, ma per noi il 30% del Parlamento rappresentava il nemico. «Noi chi?», si domanda ancora Ciancarella che, proprio sul Mig raccolse la testimonianza di un maresciallo, Alberto Dettori, che poco dopo fu trovato morto. Era l’87. La versione ufficiale confezionò alla bell’e meglio una tesi sul suicidio, ma la famiglia e Mario Ciancarella non ci hanno mai creduto.

La clamorosa rivelazione sulla falsificazione della firma di Pertini potrebbe riaprire le indagini sulla morte di Dettori e dare nuovo impulso all’inchiesta sulla morte di Sandro Marcucci, tenente colonnello pilota, attivista come Ciancarella, ucciso in una strana esplosione sulle Apuane. È ancora più lunga la scia di morti collaterali di Ustica. La versione ufficiale parlò di una quanto mai improbabile imperizia dell’ufficiale con anni e anni di esperienza di volo.

A far riaprire il caso Marcucci è stata decisiva l’Associazione Antimafia Rita Atria, con un esposto alla Procura di Massa. L’Italia, come insegna spesso Manlio Milani, del comitato familiari delle vittime della Strage di Brescia, è da tempo il Paese dei comitati che cercano per decenni verità e giustizia. «Ma non si può sempre delegare alle associazioni», dice Nadia Furnari della Rita Atria che, tra l’altro, ha promosso l’appello per il reintegro di Ciancarella. Dall’arma azzurra, intanto, «un silenzio assoluto, una prolungata contumacia, che ha meravigliato anche i giudici di Firenze», spiega Mauro Casella, l’avvocato di Lucca che, dopo 17 anni di peregrinazioni dell’ex capitano s’è assunto l’onere di un processo difficilissimo. Potrebbe dire qualcosa in merito, certamente informato su fatti generale Tricomi, ora in pensione, che consegnò con anni di ritardo, nel 1992, l’atto amministrativo di radiazione con la firma taroccata.

Il 7 novembre è scaduto il termine concesso dal giudice per il reintegro di Ciancarella. Che cosa risponderà il ministro Pinotti in Aula? Sarà disponibile questo governo a «saldare quel debito nei confronti di Ciancarella? Ad assumersi le responsabilità politiche rispetto alle conseguenze di una manipolazione della verità che è anche una violenza alla Repubblica? «La verità non può essere prescritta», ha detto Claudio Fava ma la contumacia del servizio pubblico Rai e dei grandi giornali sul caso Ciancarella non è un bel segnale.
Goffredo D’Antona, avvocato di parte civile nel caso Marcucci, invita a rileggere le parole della sentenza sulla strage di Bologna dell’80: “Continuate a cercare, chiunque possa, e non vi stancate nella ricerca. Vi abbiamo offerto gli scenari di complicità politiche che emergono dalle nostre indagini. Ma su quella soglia noi dobbiamo arrestarci, anche perché mancano alla nostra azione criteri di legittimazione e strumenti di indagine che ci consentano di proseguire in quella direzione senza entrare in un inaccettabile conflitto di poteri tra funzioni costituzionali. Cercate dunque equilibri più avanzati di civiltà politica che consentano di abbattere i santuari dell’impunità politica e degli strumenti militari. Noi magistrati, nel frattempo, faremo tutto ciò che è nelle nostre capacità e nelle nostre funzioni, per colpire dove sia possibile e come sia possibile le manifestazioni tumorali”.

Da parte sua, Mario Ciancarella ha assicurato che l’indennizzo che riceverà «non servirà a ristrutturare un casa in campagna e farmi scappare con il malloppo: non cambierà la mia vita, perché continuerò a impegnarmi per avere giustizia anche per le altre morti oscure che hanno riguardato il mondo militare, alcune delle quali, come quelle di Alessandro Marcucci e Mario Dettori. Oppure quella del paracadutista Emanuele Scieri, avvenuta nel 1999 in una caserma di Pisa, per la quale fui contattato da suoi commilitoni che mi fecero rivelazioni importanti».