Da Jean-Claude Trichet a Manuel Valls, passando per la nuova presidenza maltese del Consiglio Ue: tutti i riflessi anti-populismo in Europa. Ma alle parole devono seguire i fatti

«L’Unione europea potrebbe morire». Sono parole dure quelle pronunciate dal Primo ministro francese, Manuel Valls, durante una conferenza a Berlino giovedì 18 novembre 2016. Secondo Valls, il progetto politico europeo può essere salvato solo a patto che Germania e Francia ritrovino un cammino comune. Il Primo ministro francese ha anche chiuso le porte al Ttip e sottolineato la necessità di ripartire da zero nelle discussioni sul trattato transatlantico. In realtà, Valls non è il primo a lanciare un  segnale di allarme. Due settimane fa, il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, aveva già parlato di un potenziale fallimento dell’Ue.

Insomma, nel dibattito sull’Europa non ci sono più tabù. Allo stesso tempo, dopo le elezioni americane, si ha la sensazione che la classe politica europea si stia lentamente risvegliando per affrontare i rischi legati all’affermarsi di forze populiste. Le affermazioni di Valls e Timmermans sono sicuramente da inquadrare in questo processo. E, a dire il vero, non sono le uniche tracce di reazione istituzionale.

Mercoledì scorso, dopo una lunga assenza dal palcoscenico politico, si è fatto vivo Jean-Claude Trichet, ex Presidente della Banca centrale europea. Trichet ha parlato di «frustrazioni della classe media dei Paesi industrializzati». Più nel dettaglio, secondo l’ex Presidente della Bce, la globalizzazione ha creato due chiari vincitori negli ultimi decenni: da un lato, i Paesi in via di sviluppo, dall’altro, le élite economiche. Allo stesso tempo, le classi medie dei Paesi occidentali hanno vissuto una fase di stagnazione salariale. Ma Trichet ha anche ribadito che la classe politica ha i mezzi per affrontare l’attuale crisi e si è detto fiducioso per il futuro dell’Eurozona.

Altri riflessi anti-populismo? Secondo Andre Tauber (Die Welt), le negoziazioni istituzionali europee sulla definizioni delle voci di spesa per il 2017 si sarebbero svolte senza troppo clamore rispetto agli anni passati. Il messaggio che Bruxelles e Strasburgo vogliono far passare è semplice: gli ingranaggi istituzionali funzionano bene. Insomma, nei momenti di difficoltà, non si fa a botte per un decimale in più.

Secondo Jorge Valero (Euractiv) invece, la Commissione europea sta ammorbidendo la propria posizione sui deficit di bilancio. Il Commissario europeo, Pierre Moscovici, ha detto che sarebbe un atto di masochismo punire Spagna e Portogallo in questo momento. Inoltre, mercoledì scorso, la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione istituzionale in cui viene affermata la necessità di introdurre politiche fiscali espansive in Europa.

Nel frattempo, a gennaio 2017 inizierà il semestre di Presidenza dell’Ue a guida maltese. Il Segretario parlamentare agli affari europei del Paese mediterraneo, Iain Borg, è intervenuto durante una conferenza organizzata dal European Policy Centre affermando che «la priorità assoluta è ricostruire la fiducia dei cittadini nelle istituzioni».

Insomma, almeno a parole, le istituzioni europee e la classe politica mainstream sembrano reagire. Il problema è che lo sforzo non è coordinato. Alle parole, dovrebbero seguire i fatti.

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