Tonino Aceti presidente del Tribunale dei diritti del malato commenta la legge in attesa di approvazione al Senato. Il medico non sarà punito in caso di imperizia se avrà seguito «le linee guida stabilite dalla legge». E in sede civile spetta al paziente dimostrare che quel medico ha sbagliato

«Nonostante i miglioramenti, apportati granché anche a noi, questo disegno di legge non mette in equilibrio i diritti dei cittadini rispetto alle esigenze del personale sanitario. Propende più per i medici». Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale dei diritti del Malato commenta il ddl sulla responsabilità professionale del personale sanitario. Il disegno di legge 2224 (qui) con primo firmatario il responsabile sanità del Pd, Federico Gelli, approvato il 28 gennaio alla Camera e adesso in attesa dell’ok al Senato – forse la votazione la prossima settimana – prevede dei cambiamenti sostanziali rispetto alla legislazione attuale. Il medico che per imperizia provoca un danno anche grave a un paziente non è punibile penalmente nel caso in cui abbia rispettato le linee guida “come definite ai sensi di legge” o le buone pratiche clinico- assistenziali. Le linee guida saranno scritte con l’ausilio di società scientifiche ed esperti e pubblicate nel sito del Ministero. La grande novità riguarda il risarcimento civile. La responsabilità del medico diventa “extracontrattuale”, quindi sarà il paziente che ritiene di aver subito un danno a dover dimostrare che la colpa è del medico. È quell’inversione dell’onere della prova che secondo Aceti sposta l’asse di equilibrio più a favore del personale sanitario che dei cittadini.

Il ddl è stato presentato anche dai media come una risposta a quella tendenza che sarebbe sempre più diffusa tra i medici, cioè la medicina difensiva. Per evitare risarcimenti esosi per i danni causati ai pazienti, molti medici preferirebbero operare senza tanti rischi e quindi curare in modo meno efficace. Lo dimostrerebbero i numerosi contenziosi. Tonino Aceti dimostra, dati alla mano, che non è proprio così, «non si tratta affatto di una caccia alle streghe nei confronti dei medici». Intanto secondo Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) le richieste di risarcimento sono 10 su 10mila, questo significa lo 0,1 %, «una cifra bassissima». Inoltre, secondo i dati forniti dall’Ania (Associazione nazionale fra le imprese assicurative) l’ammontare medio dei risarcimenti si aggira tra i 50mila e i 52mila euro, spiega il coordinatore del Tribunale dei diritti del malato. «Infine, sempre l’Ania sul tema dei risarcimenti accordati, stima che poi le liquidazioni effettive che non hanno avuto seguito, quindi non sono state accordate, nel 1994 sono state il 64% mentre nel 2012 sono state il 17%. Questo significa che in questi ultimi anni il giudice ha dimostrato l’appropriatezza delle richieste», continua Aceti. Insomma, l’80% dei cittadini che si ritenevano lesi per un trattamento sanitario erroneo, aveva ragione.

Questi i dati, che dimostrano come forse si sia fatto un po’ di esagerazione sul fenomeno dei risarcimenti milionari chiesti ai medici e anche sul costo dovuto alle mancate cure per “difesa”. «Il dato stimato di 9-10 miliardi all’anno, che sarebbe il costo della medicina difensiva – continua Aceti – deriva da un campione esiguo di medici, visto che si è trattato di una indagine dell’Ordine dei medici provinciale di Roma su 1500 professionisti».
Il ddl arrivato al Senato è diverso da quello presentato da Gelli alla Camera a gennaio 2016. «Sono stati introdotti dei contrappesi e delle misure grazie anche alla nostra azione di pressione», sottolinea con un pizzico di orgoglio Tonino Aceti. Per esempio una novità è l’accelerazione rispetto alla richiesta della cartella clinica. «Adesso devono passare 7 giorni da quando un paziente presenta la richiesta all’azienda sanitaria». L’altro punto chiave, sempre nell’interesse di colui che ha fatto una richiesta di risarcimento, è la garanzia che i soldi ci saranno. Prima, nei casi per esempio delle regioni oberate dai piani di rientro, il cittadino danneggiato diventava un altro nome nella lista infinita dei creditori e quindi rimaneva a bocca asciutta. «Adesso invece abbiamo ottenuto che le aziende sanitarie mettano a bilancio un Fondo blindato anche contro i pignoramenti e specifico per eventuali risarcimenti». Un altro aspetto di cui il coordinatore del Tribunale dei diritti del malato va fiero è quello per cui nel ddl è scritto di estendere il problema del danno alla sicurezza più in generale delle cure; per questo motivo sono previsti centri regionali sul rischio clinico, per monitorare e valutare l’attività delle strutture sanitarie.

Questi i dati positivi, ma ci sono dei “ma”. «Noi non siamo tra coloro chiamati a redigere le linee guida su cui si valuta la punibilità o meno del medico che sbaglia – puntualizza Aceti -, eppure lo stesso Istituto superiore di sanità ci ha riconosciuto, in quanto associazioni di pazienti e cittadini, un ruolo nella stesura delle linee guida. Qui non ci siamo però». Inoltre il cittadino, oltre al dover dimostrare in sede civile di aver ricevuto un danno dal medico, avrà dei costi in più rispetto ala situazione attuale. Per agire legalmente dovrà passare da un Accertamento tecnico preventivo davanti al giudice e questo avrà un costo, rispetto alla vecchia mediazione obbligatoria. «Poi ci sono due aspetti nel ddl che non sono stati minimamente toccati. Uno riguarda il tempo che passa dalla richiesta di risarcimento alla liquidazione. Secondo Agenas adesso un cittadino deve attendere 4-5 anni tra l’apertura e la chiusura della pratica. Ebbene, è rimasto tutto uguale. L’altro punto non considerato è la presenza di quei soggetti, società specializzate, che utilizzano in modo profittevole le cause nei confronti del personale sanitario. Anche in questo caso non c’è nulla nel testo che parli di deontologia».

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