Durante un'intervista con il quotidiano newyorchese, Trump smentisce di voler abbandonare gli accordi di Parigi e di voler usare la tortura. Pragmatismo o cambio di tono per l'occasione?

Non c’è giorno che Donald Trump non ci regali una sorpresa. Ieri (nella sera italiana) è stata la volta dell’annuncio fatto durante un’intervista con il New York Times che non cercherà di mandare il galera Hillary Clinton «Perché ha già tanto sofferto» e che «È aperto all’idea di non dismettere gli accordi di Parigi». Due promesse fatte in campagna elettorale, con la gente ai comizi urlava «lock her up, rinchiudetela» e lui che incitava.

Nell’intervista il presidente eletto si lamenta anche del trattamento ricevuto dai media, prende le distanze da Alt-Right, che il giorno prima aveva festeggiato la sua vittoria al grido di «Heil Trump» e giura che il suo capo stratega, Steve Bannon non è razzista «che altrimenti non lo avrei scelto».

Se non avessimo vissuto 20 anni con Silvio Berlusconi – che piangeva disperato dopo una strage di albanesi in mare e poi stava al governo con la Lega – non sapremmo come interpretare questi slalom contradditori. Che in fondo contraddittori non sono. L’idea resta la stessa: far ascoltare alla gente quel che la gente vuol sentire, usare canali diversi per rivolgersi a gente diversa.

La stessa intervista è una specie di colpo di teatro: a metà pomeriggio Trump twitta “dovevo incontrarmi con il fallimentare New York Times, ma hanno cambiato le condizioni del meeting all’utimo minuto». L’intervista poi c’è stata e, appunto, Trump ha assunto un tono moderato.  Ma l’account twitter non parla di quella intervista e non la rilancia nemmeno. E le persone che hanno votato Trump non leggono il New York Times né visitano il sito. Il neopresidente, alle domande, “pensa che Bannon sia un razzista?” e “Prende le distanze da quelli che oggi gridavano Heil Trump” non poteva che rispondere come ha risposto. È un abile populista, non il leader del partito nazista e suprematista bianco. Sa  che quello è stato un pezzo utile per portarlo alla Casa Bianca, non la sua base elettorale. Sul web (sui social dove si vive di nickname come Reddit o 4chan) i sostenitori del movimento si dicono delusi ma anche ribadiscono «Non è il nostro uomo su cavallo bianco, solo concorda con alcune delle nostre idee».

Quanto agli Accordi di Parigi, sa che farli saltare gli metterebbe una pressione internazionale furibonda addosso. Non solo, Trump non ha detto: «intendo applicare con rigore gli accordi di Parigi», ma «ci guarderò bene dentro». Meglio di niente, ma nessuna certezza. L’unica posizione inequivoca Trump l’ha presa sulla tortura: il generale Matis, figura quasi certamente scelta per guidare il Pentagono «mi ha detto che non è mai stata utile a nulla e dunque ho cambiato idea». Non è un ripudio della tortura – venduta come utile in campagna elettorale – ma l’ammissione che non serve a nulla. E comunque la sua scalta alla CIA, Pompeo, è un difensore del waterboarding.

Molti hanno poi fatto notare che nel video in cui il neoeletto presidente annuncia il piano per i cento giorni non ci siano il muro con il Messico e la fine di Obamacare. La prima misura implica una spesa – a meno che davvero qualcuno non creda che i messicani lo pagheranno – e nel messaggio Trump sembra parlare solo di misure realizzabili con ordini esecutivi che non vanno discussi con il Congresso. Le spese sono invece competenza dell’Assemblea legislativa. Quanto all’assicurazione sanitaria obbligatoria, Trump ha già detto che non la smonterà del tutto e, comunque, per cambiare un meccanimso delicato come quello che regola la Sanità deve prima cercare di capire come fare senza far saltare in aria il sistema.

C’è poi il problema del conflitto di interessi negato. Il presidente eletto ritiene che la legge non gli imponga di prendere le distanze dal suo business e dice che presto metterà tutto nelle mani dei figli, ma al contempo spiega che suo genero Jarod Kushner probabilmente avrà un ruolo nell’amministrazione. Trump, insomma spiega di essere oltre e sopra la legge. E gli effetti già si vedono: ai diplomatici stranieri vengono offerti prezi speciali nelle suite degli alberghi di proprietà del presidente a Washington, questi accettano per stabilire reazioni. Non solo: lo stesso Trump ammette che il suo brand è cresciuto grazie alla elezione.

La legge in effetti non impone di lasciare le sue proprietà: presidente, vice e giudici federali sono esenti dall’obbligo, chissà perché. Ma un conto è quel che è legale, un conto è quel che è giusto e responsabile fare quando si è eletti presidente di un Paese.

Infine: oggi verranno altri annunci di nomine. Si dice che Nikki Halley, 44enne governatrice della South Carolina di origini indiane, sarà ambasciatrice Onu. Halley è una moderata che ha molto criticato Trump. Un segnale che potrebbe voler dire due cose: il presidente sceglierà una diplomazia moderata con la coppia Halley-Romney. Oppure l’incontro con il miliardario mormone ed ex candidato presidenziale è stato propedeutico alla nomina di Halley (molto vicina a Romney) e avremo un Segretario di Stato diverso. In ogni caso una nomina pensata solo per calmare le acque con i moderati, perché di politica estera, Halley, non sa nulla.

Alla sanità potrebbe andare l’ex chirurgo afroamericano Ben Carson e la cosa, nonostante il prescelto sia un profilo professionalmente adeguato, sarebbe una scelta molto conservatrice. Carson era infatti il religioso più bigotto della schiera dei candidati alle primarie e il Dipartimento della salute regola ovviamente tutte le questioni relative alla riproduzione e alla ricerca medica – tradotto: ulteriore restringimento del diritto di scelta per le donne. Halley e Carson potranno infine consentire di dire che l’amministrazione non è fatta solo di maschi bianchi.