Il costituzionalista Massimo Villone spiega il rischio per i cittadini dal non eleggere i propri rappresentanti. «Dal 2006 con il Porcellum i parlamentari hanno perso le radici e così hanno fatto leggi contro interi mondi che si opponevano, sono diventati chiusi all'ascolto»

La riforma costituzionale deve essere conosciuta da tutti, non ci possono essere diseguaglianze, cittadini “esperti” di serie A e cittadini “ignoranti” di serie B. Lo dice il costituzionalista Massimo Villone rispondendo a Michele Serra nell’incontro coordinato dalla direttrice di Left Ilaria Bonaccorsi durante la festa della Costituzione a Roma dal 14 al 16 ottobre. Villone spiega molti altri punti del ddl Boschi-Renzi durante l’incontro di cui pubblichiamo il resoconto.

Michele Serra scrive sulla sua Amaca del 16 ottobre che alla casalinga di Voghera e al barista di Trani non interessa la riforma costituzionale e che chiedere loro «di pronunciarsi sul bicameralismo imperfetto è puro sadismo». Meglio lasciare la cosa agli esperti, dice l’opinionista di Repubblica. La replica è immediata e arriva nello stesso giorno dalla festa della Costituzione a Roma. «In democrazia accade che qualcuno non sia consapevole e forse la signora e il barista non sanno che questa riforma li riguarda direttamente, ma se è così, allora bisogna fare tutto il possibile per spiegarglielo. Altrimenti che facciamo? Torniamo a 150 anni fa, al voto per censo? Oppure tagliamo le teste o il diritto di voto? Se quello che dice Serra dovesse essere adottato come progetto di riforma costituzionale addirittura torneremo a poco prima della Rivoluzione francese. È una bella forma di modernità, dovremo consigliarla a Renzi che così almeno si fa una cultura storica!». Il costituzionalista Massimo Villone sul palco, piegato sulla sedia sorride amaro rivolgendosi al pubblico accorso alla Città dell’Altraeconomia. È l’ultimo giorno della festa della Costituzione promossa dal Comitato romano per il No al referendum, sul palco insieme a Villone c’è anche l’ex sindaco Ignazio Marino per il secondo incontro coordinato da Left. A entrambi, Ilaria Bonaccorsi rivolge domande molto puntuali, ma soprattutto riporta il cuore del problema – davvero la casalinga di Voghera e il barista di Trani non sono interessati o addirittura non sarebbero in grado di comprendere la riforma Renzi Boschi, come scrive Serra? – oppure tutti i cittadini possono comprendere cosa c’è scritto nella nuova Costituzione. Ma non solo. Il direttore di Left aggiunge un terzo personaggio, un altro simbolo di questa Italia, alle prese con una campagna referendaria che divide il Paese tra guelfi e ghibellini senza entrare nel merito della revisione costituzionale. «Un amico ingegnere – racconta – mi chiedeva “ma se il Senato ormai non conta più nulla, non dà più la fiducia, perché indignarsi così tanto se non votiamo più per eleggere i senatori?”».

Così, la casalinga, il barista e anche l’ingegnere, diventano i tre personaggi non tanto in cerca d’autore ma di risposte sul presente. E il professore emerito di Diritto costituzionale spiega con calma, si lascia andare anche all’ironia, come quando immagina scenari post vittoria del Sì: «Se avete corna, cornetti, toccate ferro, toccate legno!». Ma poi spiega rigoroso: «Bisogna dire alla casalinga e al barista che questa riforma mette a rischio la democrazia, perché riduce gli spazi di partecipazione e indebolisce il Parlamento, visto che il diritto di voto è solo per una Camera. E un Parlamento non rappresentativo, e cioè che non ti rappresenta, non può fare le politiche che interessano i nostri due protagonisti: far pagare le tasse a chi ha di più, impiegare più risorse nei servizi pubblici fondamentali come la salute, l’istruzione, i trasporti e magari non in opere mastodontiche e inutili, e non mettere invece il bavaglio alle autonomie locali, come è accaduto per le trivelle». Villone si rivolge anche allo scettico ingegnere dei Parioli e sottolinea come l’elezione diretta dei senatori non sia una «questione di estetica costituzionale», cioè qualcosa di astratto, ma invece è qualcosa di molto concreto. «In quella sede, nel Parlamento, si fanno le regole che entrano nelle vostre vite, nelle vostre tasche, nella vostra salute e nella vostra informazione». E fa un esempio: dal 2006, da quando è entrata in vigore la legge elettorale detta Porcellum – poi spazzata via da una sentenza della Corte costituzionale nel gennaio 2014 – «si è rotto il rapporto tra l’eletto e l’elettore. I parlamentari hanno perso le radici, non rappresentano più nessuno». E così è arrivata l’approvazione di leggi «esecrabili» come il Jobs act o la Buona scuola. «Il Parlamento ha fatto delle leggi contro i mondi che cercavano di fermare quelle leggi. Ebbene, quel Parlamento è chiuso, non disponibile all’ascolto, un luogo dove le donne e gli uomini di questo Paese non hanno ingresso». E così accade che con il dissolversi dei partiti politici e l’indebolirsi dei sindacati il Parlamento non ha più il polso della situazione del Paese «per cui, nonostante il referendum travolgente a favore dell’acqua pubblica, si continua a cercare di privatizzare l’acqua. E ditemi, queste non sono cose che interessano al barista di Trani?», chiede Villone. Il voto per il Senato è importante, è un diritto fondamentale, come un «farmaco salvavita nel sistema sanitario». «Perché lasciarlo nelle mani di pezzi di ceto politico che saranno lì seduti a dire, io faccio il presidente, tu fai l’assessore e tu ancora fai il senatore», aggiunge il costituzionalista riferendosi alle nuove modalità di elezione dei senatori all’interno dei Consigli regionali. Il rischio del voto indiretto è dietro l’angolo, basta guardare cosa è successo alle elezioni dei consigli delle Città metropolitane. «A Napoli si è votato per una città enorme, 3 milioni e 200mila abitanti, l’elezione era tra i consiglieri comunali e i sindaci di 500 comuni della Campania. Ma la gente non sapeva nulla. Queste elezioni sono scomparse nella bassa cucina delle forze politiche. Non c’è stato un programma, un dibattito, non si sa nemmeno chi è stato eletto, solo poche righe sui giornali. Ecco, è esattamente lo stesso meccanismo che si vuole introdurre per l’elezione dei senatori».

Poi Massimo Villone sfida il pubblico a seguirlo in un ragionamento sofisticato, su un paio di passaggi di questa revisione che non sempre si riesce a cogliere. Uno riguarda la norma per cui il governo può chiedere alla Camera il “voto a data certa”. Ma perché lo fa? Non ci sarebbe bisogno, dice, perché quando un presidente del Consiglio che è anche segretario – come nel caso di Renzi – ha la maggioranza, ha tutti gli strumenti per controllare la formazione di una legge. «Ha eletto il presidente dell’Assemblea, ha eletto tutti i presidenti delle Commissioni dove si discute il testo, ha la maggioranza delle Commissioni, controlla la conferenza dei capigruppo che decidono i tempi parlamentari, controlla l’ufficio di presidenza, la Giunta per il regolamento. Insomma ha tutti gli snodi parlamentari in mano, tanto è vero – ricorda – che leggi come il lodo Alfano sono state approvate in tre settimane, nonostante un’opposizione durissima». Ma allora a che serve questa norma che condiziona così tanto il calendario della Camera? «È un meccanismo in realtà per normalizzare la maggioranza di governo e mettere all’angolo le voci dissenzienti,  senza sollevare polemiche e articoli di giornale con il voto di fiducia. Così si gestisce con serenità i lavori parlamentari mettendo il bavaglio alla minoranza interna», dice Villone. Ma con la revisione, «come si normalizza la maggioranza si normalizza anche il dissenso in sede locale», continua il giurista affrontando il secondo passaggio, quello della “clausola di supremazia” del Titolo V per cui lo Stato può prevalere sulla competenza legislativa regionale per questioni di interesse nazionale e per l’unità giuridica ed economica della Repubblica. Ma era garantito anche prima il potere dello Stato, adesso la nuova norma ha più il sapore di “esproprio” per dirimere questioni scottanti. Il caso trivelle docet, come anche i depositi di scorie nucleari, motivi di dissenso a non finire.

Il costituzionalista tocca poi altri punti, il famigerato “combinato disposto” – «una formula che i giuristi amano moltissimo perché dopo può succedere qualsiasi cosa» – tra Italicum e revisione costituzionale e la disuguaglianza nel voto tra il partito che si prende i 340 seggi di premio e gli altri a cui tocca il resto. E poi non dimentichiamoci che i candidati eletti per il 70% sono quelli nominati dai segretari di partito. Lo scenario che dipinge è inquietante: «Io, partito di maggioranza, posso eleggere il presidente della Repubblica, mi bastano pochissimi voti, così come sono vicinissimo all’elezione dei giudici della Corte costituzionale e dei componenti del Csm. Così si sbilancia l’asse e resto l’uomo solo al comando». Eppure, per migliorare il procedimento legislativo sarebbe bastato intervenire sui regolamenti parlamentari. «Non c’era bisogno di scassare la Costituzione, gli strumenti c’erano. Se lo si fa invece, vuole dire che si vuole scassare la Costituzione per motivi futili e abbietti. Gli stessi argomenti che abbiamo letto nel report di JP Morgan, nelle lettere di Marchionne e della Confindustria. Ma ricordatevi che se il Parlamento non vi rappresenta, potrete urlare quanto vi pare,  nessuno vi ascolterà», conclude Villone esortando il pubblico a non farsi vendere «questo paccotto e questo imbroglio sul fatto che i diritti non verranno toccati». E alla fine, sceso dal palco, si avvicina un uomo alto che lo ringrazia per le parole. È l’ingegnere.

(Da Left n.43 del 22 ottobre)

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.