Due giornalisti, un comitato cittadino, un gasdotto da centinaia di milioni di euro, “una dittatura postmoderna”. E, sullo sfondo, quel mare che ispirò le poesie dello scrittore azero Nizami Ganjavi quando l’Azerbaigian non esisteva ancora. Si tratta di un fumetto, ma prende spunto dalle vicende reali che negli ultimi anni hanno preso corpo in Azerbaigian (il maggior esportatore di petrolio della zona) e hanno a che fare con alcuni Paesi – come l’Italia – che fanno affari nel Mar Caspio per il petrolio e ora vorrebbero canalizzare il gas naturale in un nuovo corridoio.
L’alleato azero è una graphic novel disegnata da Claudia Giuliani (alla sua seconda esperienza editoriale) e curata dall’associazione italiana Re:Common, che da anni monitora le grandi opere e ha recentemente svolto ricerche in Azerbaigian e nei Paesi coinvolti per appurare le premesse della costruzione del gasdotto Trans-Atlantico (Tap), progettato per collegare il Mar Caspio e il Salento.
La protagonista scelta dagli autori del fumetto è Khadija Ismayilova, l’icona del giornalismo d’inchiesta azero, che ha svelato ante litteram – ed è stata incarcerata per questo – le proprietà off shore del presidente Ilham Aliyev e che negli anni ha subìto numerose minacce e processi con accuse disparate per la sua attività critica nei confronti delle violazioni di diritti civili e politici da parte del governo.
A fare da sfondo alle vicende economiche e geopolitiche che coinvolgono tutta l’Europa (dalla Svizzera alla Grecia), c’è il governo dell’Azerbaigian, la prima repubblica parlamentare musulmana del mondo (1918), che ultimamente è stata definita una “dittatura postmoderna”.
Un Paese spesso assimilato all’Arabia Saudita per il tenore di vita alto e contemporaneamente considerato europeo per le aperture democratiche (o presunte tali), membro del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea di Radiodiffusione, repubblica laica e multiculturale a maggioranza sciita, l’Azerbaigian è stato spesso accusato da organizzazioni internazionali autorevoli come Amnesty International, Human Rights Watch e Freedom House di aver violato i diritti civili e politici di giornalisti, scrittori, attivisti e comuni cittadini che hanno espresso dissenso nei confronti del governo vigente.
La stessa Ismayilova è stata sostenuta ripetutamente dalla comunità internazionale in occasione dei numerosi processi (e arresti), intimidazioni e minacce che ha subìto per aver diffuso informazioni critiche su Aliyev. Uno degli scandali più celebri risale al 2012, quando la giornalista, in seguito alla pubblicazione di alcuni articoli critici, ha ricevuto minacce di “umiliazione pubblica” ed è stata ricattata con un video privato che la ritrae con il suo compagno in atteggiamenti intimi, girato da telecamere nascoste, e diffuso sul sito di un partito di opposizione. Non cedendo al ricatto – la diffusione di video di questo genere può avere degli effetti drammatici in Azerbaigian -, la giornalista ha accusato il governo di aver violato la sua privacy e di averla ricattata e ha sporto denuncia. Le indagini – che non hanno portato a nulla – sono cominciate soltanto dopo la diffusione pubblica del video, a danno della giornalista.
Ma il caso eclatante che ha reso la Ismayilova un’eroina dei diritti e della libera coscienza azera è legato alla già citata denuncia delle proprietà off shore della famiglia Aliyev (risalente al 2010), confermata dalla recente pubblicazione dei Panama Papers, che palesa la presenza di proprietà non dichiarate e non tassate a nome delle figlie del presidente. In seguito a questa vicenda, la giornalista – per ironia della sorte – è stata accusata (ingiustamente) di evasione fiscale e imprigionata.
Il fumetto – nelle librerie dal 25 novembre ed è stato presentato ieri alla Federazione nazionale della stampa italiana e alla Libreria del Viaggiatore di Roma – mentre sostiene le ragioni dei No Tap salentini, contrari alla costruzione del corridoio del gas, denuncia le violazioni dei diritti umani in Azerbaigian e critica i Paesi europei che pur di fare affari non si pronunciano sulle pratiche autoritarie di Aliyev.
A raccontare il contesto politico e sociale dell’Azerbaigian, all’incontro organizzato da Re:Common, Articolo 21 e sostenuto da Amnesty International, è intervenuto l’avvocato Rasul Jafarov, un’altra icona dell’attivismo azero, che ha spiegato perché è importante comprendere la situazione transcaucasica.
Imprigionato varie volte per aver diretto campagne contro le misure autoritarie del governo azero, come la campagna “Sign for democracy” che ha diffuso durante l’Eurovision Song Contest tenutosi in Azerbaigian, Rasul Jafarov, è uscito di recente dal carcere dopo due anni per una grazia ricevuta e continua, finché può, a frequentare l’Europa per raccontare il suo Paese.
Per dare un’idea dell’elevato numero di “prigionieri di coscienza” in Azerbaigian, Rasul ha presentato un dossier che raccoglie i nomi e le vicende giudiziarie di prigionieri accusati di reati comuni (evasione fiscale, detenzione di droga) che dovrebbero essere considerati prigionieri politici alla luce del diritto internazionale. Sono 119 i nomi “sicuri” di Rasul, tra giornalisti, scrittori, poeti, semplici utenti twitter, arrestati alla luce delle loro posizioni politiche non dichiarate dalle autorità.
«L’aspetto più subdolo – ha detto l’avvocato – è che sulla carta i prigionieri sono accusati di reati comuni, ma in realtà sono presi di mira per motivi politici, che il governo non esplicita». Un meccanismo oscuro che preserva la democrazia di facciata, molto cara all’Azerbaigian per motivi di identità storica e di alleanze, ma che di fatto la nega ogni giorno nei suoi tribunali, mancando agli impegni che ha preso con il Consiglio d’Europa e con le organizzazioni internazionali cui dice di aderire. «Il mio Paese merita la democrazia», ha concluso Rasul, «perché ha lottato molto per ottenerla storicamente, prima contro l’impero russo e poi contro l’Unione Sovietica», diventando la prima repubblica musulmana del mondo.
«Che cosa fa l’Europa e cosa fa l’Italia per contrastare le violazioni dei diritti in Azerbaigian?»
La risposta di Re:Common non lascia dubbi: se le cose non cambiano, siamo destinati a essere il primo partner economico dell’Azerbaigian per la costruzione del gasdotto Tap calpestando il diritto alla “opzione zero” dei popoli coinvolti nell’impresa, che vorrebbero di “no” al progetto.