Nel bel mezzo della sbornia del referendum costituzionale italiano, lunedì 5 dicembre, a Bruxelles, si è tenuto l’ultimo Eurogruppo del 2016. All’ordine del giorno, come al solito, le riforme di Atene e il possibile alleggerimento del debito greco.
La data era stata prefissata come possibile giorno di chiusura del secondo controllo (“second review”) del terzo programma di bailout da 86 miliardi, firmato nell’estate del 2015. Nel quadro di queste revisioni, i creditori internazionali verificano il progresso fatto da Atene nell’implementazione delle riforme.
Contrariamente alle previsioni, gli staff tecnici di creditori e governo greco non sono però arrivati a un accordo finale. Conseguentemente, la chiusura della così detta “second review” slitterà a gennaio 2017, al più presto. In altri termini, il Fondo monetario internazionale (Fmi) e gli altri partner finanziatori, hanno chiesto maggior dettagli e misure concrete al governo di Alexis Tsipras.
In particolare, a livello di Eurogruppo manca un’intesa con Atene sulle misure necessarie per raggiungere, da un lato, l’avanzo primario del 3,5 per cento previsto per il 2018 e, dall’altro, una maggiore crescita e competitività – leggi: riforma del mercato del lavoro, liberalizzazione di professioni e rimozione delle barriere per gli investimenti.
D’altra parte, Alexis Tsipras è riuscito a ottenere, ciò di cui aveva bisogno, ovvero un alleggerimento parziale, e di breve periodo, del debito. Il Meccanismo di stabilità europeo (Mse), il fondo intergovernativo che eroga finanziamenti alla Grecia per conto degli Stati membri dell’Ue, ha infatti concesso ad Atene un congelamento parziale dei tassi di interesse e una dilatazione dei tempi di restituzione dei crediti – il periodo medio è passato da 28 a 32,5 anni.
Secondo Klaus Regling, direttore del Mse, si tratterebbe di «misure importanti per aumentare la sostenibilità del debito». Anche il Ministro delle finanze greco, Euclid Tsakalotos, ha affermato che sono «azioni che aiuteranno immediatamente l’economica greca». Secondo i calcoli dei creditori, da qui al 2060, le misure porterebbero a una diminuzione del rapporto fra debito pubblico e prodotto interno lordo, pari al 20 per cento.
Insomma, si ha la sensazione che, per il momento, il piccolo aiuto possa fare comodo a Tsipras. Ma per quanto tempo? E ha veramente senso parlare di 2060? L’Fmi continua infatti a reputare insostenibile il debito di Atene e la partecipazione di Washington al programma di bailout rimane appesa a un filo. Insomma, per molti continua ad essere necessario un taglio nominale del debito. Inoltre, è proprio il famoso target di avanzo primario – 3,5 per cento per il 2018 – che crea enormi divisioni tra i creditori stessi. Per la Germania non si tocca e dovrebbe essere mantenuto dal 2018 per 10 anni. L’Fmi spinge per un obiettivo inferiore, ma realistico, pari all’1,5 per cento.
Secondo un report di Euractiv, un membro della squadra tecnica dell’Fmi che ha partecipato all’Eurogruppo di ieri, avrebbe detto: «Veniamo sempre indicati come i responsabili dell’austerity in Grecia. Ma questa non è la realtà. Il Paese ha già sopportato una mole imponente di aggiustamenti strutturali, eppure il suo futuro continua a rimanere insostenibile».
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